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Gli autogol della Figc

Gli autogol della Figcfoto di Alberto Ramella – Emblema

Sport La bufera dopo «l’affaire» Tavecchio non si placa, ma l’11 agosto verrà designato il nuovo presidente del calcio nazionale sempre più malato e corrotto

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 7 agosto 2014

Per fortuna, manca poco. Per l’11 agosto, il giorno del nuovo uomo al vertice del calcio italiano. Ancora qualche giorno e sarà l’«apocalisse» della vergogna. Con figuracce continue che cascano come le banane, magari così direbbe Carlo Tavecchio. Il candidato impresentabile alla poltrona di numero uno del calcio italiano. Presidente della Figc al posto del dimissionario Giancarlo Abete.

Insomma, quello di Opti Pobà, del Bananagate, l’asso di briscola per i vari Lotito, Galliani, Preziosi per mantenere lo status quo del potere in Figc, altro che rinnovamento. Il numero uno della Lega dilettanti e i suoi numeri da vittima, si sente messo alla gogna per via delle sue esternazioni razziste: «Trattato così, nemmeno fossi l’assassino (Lee Oswald, ndr) di John Kennedy».

«Povero» Tavecchio inviso anche dai calciatori, vedi l’intervento di Chiellini, Buffon, De Rossi, dall’associazione nazionale allenatori. È riuscito persino a diventare famoso nei corridoi della Fifa, che ha invitato i vertici del nostro pallone a fare qualcosa, perché «l’aspirante presidente» è impresentabile addirittura per Joseph Blatter. E il suo avversario, Demetrio Albertini, vice di Abete per sette anni in Figc, è un outsider che viene però dai poteri forti, appoggiato subito da Roma e Juventus.

E quindi? Forse ci si salva in corner con il commissariamento – in Italia commissariare è una doverosa pratica pubblica -, soluzione positiva secondo il presidente del Coni, Giovanni Malagò. Il dirigente fidato di Matteo Renzi, quello della svolta dello sport italiano, che in questa situazione non ha disturbato il manovratore e ora parla di finale thriller. E paventa un colpo a sorpresa, che andrà in onda mentre lui sarà in ferie. Ma se serve, torna subito a Roma, chiaro. E mentre Malagò si rilassa dopo lo stress dell’ultimo atto scandaloso del pallone nostrano, prende corpo l’ipotesi della sua squadra per il commissariamento lampo.

Composta dal segretario generale del Coni Roberto Fabbricini, il figlio del presidente della Repubblica Giulio Napolitano e Michele Uva, ex dirigente di club di Serie A pronti a scendere in campo. Una task force per rinegoziare lo statuto della Figc e fare le riforme – parola che tormenta gli italiani da mesi – con i tempi per gli adempimenti tecnici che sarebbero strettissimi. Il commissario deve essere votato dalla giunta del Coni, da convocare entro due giorni. In piena estate, mica facile.

Intanto Tavecchio è consapevole di trovarsi su un trono scricchiolante, che potrebbe festeggiare il successo solo in terza convocazione l’11 agosto, quando sarà sufficiente una percentuale del 51 per cento per vincere. Ha iniziato ad allargarsi il fronte dei dirigenti orientati a votare scheda bianca, più per il diffuso sentimento di inadeguatezza del candidato favorito che non per un programma sostanzialmente condiviso (e condivisibile) da tutti. Anzi, proprio la spaccatura della Serie A, con un sostanziale pareggio fra pro Tav e no Tav deve aver convinto Malagò a un’altra accelerazione.

È probabile che il presidente del Coni abbia maturato la convinzione che il fronte del no stia per esplodere e ci possa essere un altro significativo cambio di candidato (o di scheda bianca, appunto) nelle prossime ore tale da mandare a gambe all’aria l’11-9, il lieve vantaggio che apparentemente il presidente della Lega dilettanti sembra ancora avere in mano. Così, gli ostacoli per Tavecchio si moltiplicano.

In poche parole, o si tira indietro oppure il presidente del Coni potrebbe costringerlo a tirarsi fuori per l’assoluta ingovernabilità del sistema pallone. Anche perché la governance della nuova Figc rischia di diventare l’ostacolo più ingombrante verso la presidenza: per riformare lo statuto serve il 75% dei consensi, e il candidato forte alla corsa osteggiato dalle componenti tecniche che pesano per il 30% non potrà mai contare su quella fetta di appoggi. In più, Tavecchio per la storiaccia su Opti Pobà potrebbe essere deferito. Violazione dell’articolo 11 del codice di giustizia sportiva: «Rischiamo che il futuro presidente federale debba, come primo atto, dare mandato a un avvocato per difendersi dall’accusa di comportamenti discriminatori che la Procura potrebbe muovergli ad horas», ricordava il coordinatore nazionale del dipartimento sport del Pd, Luca Di Bartolomei, sul suo blog.

Certo, sarebbe singolare che la Procura federale si risvegliasse per punire Tavecchio, dimenticando l’oblìo che dura ormai da anni. Ma potrebbe succedere. Senza dimenticare che la «scandalosa» vicenda è solo la punta dell’iceberg. Prima ci sono, le responsabilità da distribuire ai colpevoli dell’azienda italiana calcio mandata in malora, tra le morti di civili fuori agli stadi (fatiscenti e vuoti) con colpevoli ancora da individuare con certezza e carenze del servizio di sicurezza pubblico.

E poi le curve finite nella materiale disponibilità degli ultras, procuratori che gestiscono a piacimento il flusso dei calciatori, aiutando le grandi in bolletta a strappare atleti ad altre squadre in cambio di prebende – fenomeno sconosciuto un piede oltre le Alpi italiane -, pagamenti in nero, tre club di Serie A e B con i capitani coinvolti nello scandalo calcioscommesse, piaga che allieta da anni gli italiani sotto l’ombrellone.

E mettiamoci anche la recente pantomima per la vendita dei diritti televisivi della Serie A 2015/2018, con attori protagonisti Sky e Mediaset: la prima ha mantenuto i diritti sulle gare della massima serie, il Biscione si è garantito il pacchetto delle prime otto in classifica, i club hanno monetizzato per quasi 1 miliardo di euro, la Lega si è detta favorevole a un sublicenza che porterebbe di nuovo la Champions League (esclusiva Mediaset dal 2015) di nuovo sugli schermi anche della tv di Rupert Murdoch. Dunque pacchetti rinegoziati e niente tutela per gli altri competitor. Insomma, ci sono gli estremi per dichiarare bancarotta.

A questo punto, il deludente Mondiale brasiliani messo assieme dalla Nazionale di Cesare Prandelli passa quasi sottotraccia. Sarebbe stato irreale sollevare un’altra Coppa nonostante una situazione così disastrosa nel proprio sistema, come avvenne con l’Italia di Marcello Lippi che vinceva a Berlino poche settimane dopo la bufera del calcioscommesse.

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