Editoriale

Governo con l’elmetto

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Tra gli annunci di una prossima stangata, confusi nei dettagli ma chiarissimi nell’obiettivo di rastrellare miliardi dalle tasche di un ceto medio impoverito e rabbioso, decidiamo di entrare nella guerra […]

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 21 agosto 2014

Tra gli annunci di una prossima stangata, confusi nei dettagli ma chiarissimi nell’obiettivo di rastrellare miliardi dalle tasche di un ceto medio impoverito e rabbioso, decidiamo di entrare nella guerra irachena con un rapido voto delle commissioni esteri e difesa convocate per tre ore nella pausa estiva del parlamento.

Si respira un’aria strana, come di un paese sospeso che mentre sta per affrontare un difficile autunno sociale, rimanda nelle case degli italiani le immagini di un presidente del consiglio che, nel suo stile di politico giovane e ottimista, dall’Iraq annuncia la prossima vittoria ai politici di Baghdad («batteremo i terroristi»), senza slide ma con la stessa sicurezza con cui annunciava la ripresa economica grazie agli 80 euro nelle buste paga di dieci milioni di elettori.

È successo spesso nella storia europea del secolo scorso e in quella nazionale che le avventure coloniali (crispine, giolittiane fino al baratro fascista)servissero a mettere l’elmetto alla bancarotta economica. Oggi, mentre l’Italia vive la sua più grave crisi dal dopoguerra, quando molti governi, e facilmente anche quello in carica, non sapendo come uscirne si risolvono a colpire pensioni, dipendenti pubblici e servizi sociali, il presidente vola in Iraq a prenotare un posto in prima fila nello schieramento sul fronte iracheno e, più in generale, su quello del Medio oriente che lo comprende.
Il sottile paravento dell’intervento umanitario non impedisce di vedere come, seppure per interposti militari kurdi, l’Italia entri con le armi in quel teatro di guerra. Su cosa significhi armare i militari kurdi abbiamo già scritto sottolineandone la spinta a una ulteriore divisione della tripartizione delle forze in campo (con sunniti e sciiti) in quel paese. Non andiamo in Iraq per «fermare» i terroristi come ha auspicato il papa richiamando l’unico intervento legittimo, quello dell’Onu, e come sarebbe giusto. Porteremo armi e ne trasporteremo sui nostri arerei e navi anche di provenienti da altri paesi. Lo ha spiegato la ministro della difesa, Pinotti, con il suo alleato di governo, Cicchitto, che già spinge per «bombardare il nemico».

Come si svilupperà questa strana terza guerra mondiale «a capitoli» non lo sappiamo. Sappiamo che ora ci siamo dentro anche noi. Quali reazioni si innescheranno quando si giustificheranno i finanziamenti per portare la pace con le armi mentre si chiederanno sacrifici a chi già ne sopporta il carico gravoso, è l’altra domanda. I gufi, animali preveggenti, risponderebbero annunciando al bosco la tempesta perfetta.

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