Editoriale

I 5Stelle non amano le sardine

I 5Stelle non amano le sardine

Fuori dalle scatole Le piazze italiane, piene di ragazzi (come quella stracolma ieri a Palermo) che manifestano contro il capo leghista avranno tutti i limiti del mondo, ma possiedono il pregio di opporsi al rischio di consegnare importanti regioni del paese alle destre

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 23 novembre 2019

Anziché fare tesoro della sindrome tafazziana tipica della sinistra, sembra che i 5Stelle, al grido del “tanto peggio tanto meglio” vogliano invece imitarne il cattivo esempio.

Non si spiega altrimenti la volontà di voler giocare la sfida delle elezioni emiliane per favorire la candidata leghista, fervente salviniana. Non appoggiare Bonaccini nelle urne di gennaio è solo un clamoroso favore alle destre.

A ben vedere a doversi arrabbiare con la specie grillina dovrebbero essere innanzitutto proprio le sardine di piazza Maggiore, perché a loro i 5Stelle sembrano preferire Salvini. Le piazze italiane, piene di ragazzi (come quella stracolma ieri a Palermo) che manifestano contro il capo leghista avranno tutti i limiti del mondo, ma possiedono il pregio di opporsi al rischio di consegnare importanti regioni del paese alle destre. Purtroppo non sembra la stessa preoccupazione a guastare il sonno ai pentastellati.

Certamente non presentarsi nei territori dove sono nati come Movimento, dove hanno avuto i primi sindaci e consiglieri era indubbiamente una decisione difficile. Per questo si richiedeva uno sguardo meno miope, che evidentemente i 5S non sono in grado di offrire. Naturalmente il difetto sta nel manico, nella disastrosa conduzione politica del Movimento che non costruisce alleanze mostrandosi come un agglomerato ingovernabile.

Chiamare gli attivisti piemontesi a decidere se si devono presentare liste elettorali in Calabria è solo un ulteriore segno della crisi. Tra l’altro il voto sulla piattaforma Rousseau era stato deciso e formulato con l’esplicita intenzione di chiedere «una pausa di riflessione elettorale» per avere il tempo di costruire e trasmettere a chi li vota o li votava, quella «riflessione a 360 gradi», indicata anche dal presidente della camera Fico come necessaria per metabolizzare il passaggio del Movimento dall’opposizione al governo e dall’alleanza con la Lega a quella con il Partito democratico.

Ma ora che la frittata è fatta bisognerebbe evitare di aggravare il danno e cercare un modo per non presentarsi contro il centrosinistra. Piuttosto improbabile, e tuttavia la richiesta di una seconda consultazione degli iscritti avanzata da esponenti a 5Stelle, questa volta limitata al livello regionale, non chiude del tutto la partita.

Buon senso consiglierebbe poi di evitare di caricare sull’esito emiliano la traballante sorte del governo nazionale. Anche perché il passaggio dell’Emilia rossa del Pci-Pds-Ds-Pd alla Lega non è certo solo responsabilità degli ultimi arrivati.

La Lega in Emilia è da lungo tempo il secondo partito, e il povero Bonaccini vanta il non invidiabile record di presidente degli astenuti, avendo votato per lui un elettore su tre alle ultime regionali. Proprio quando gli unici a incrementare in modo vistoso i consensi furono i 5Stelle.

Da allora un oceano è passato sotto le stelle, che non solo oggi rischiano di spegnarsi con il grande flop padano, ma anche di recitare la parte degli amici del giaguaro.

Forse Di Maio e compagni credono che la crisi del settore industriale dolorosamente testimoniata dal disastro dell’Ilva, o la manovra economica messa in campo dai giallorossi avrebbero un destino migliore nelle mani di chi, ieri reclamava i pieni poteri, oggi vuole denunciare il presidente del consiglio di «alto tradimento» e dalla mattina alla sera chiede di buttare giù il governo.

Del resto, se anche un Calenda può annunciare la nascita di un suo partito, è evidente come la situazione politica sia grave. Ma non seria.

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