Editoriale

I dieci giorni di Atene

I dieci giorni di AteneAtene – Andrea Sabbadini

Sbilanciamo l'Europa Dieci giorni che hanno sconvolto l'Europa. Il voto di Atene dice che è cancellata la Troika, aperto il negoziato sul debito, bloccate le privatizzazioni. La Bce invece ha stretto sulle banche e aspetta Berlino. L'offensiva di Tsipras tocca le capitali europee e apre a Mosca e Pechino

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 6 febbraio 2015

Cinquantaquattro anni fa, durante il suo discorso di insediamento, il presidente John Fitzgerald Kennedy dichiarò, «Non dovremo mai negoziare per paura». «Ma non dovremo mai aver paura di negoziare».

Non si trattava delle affermazioni cruciali di quel discorso, tuttavia, esse figuravano fra le più importanti. L’obiettivo di tali affermazioni, dirette deliberatamente ed indiscutibilmente verso l’Unione Sovietica, era quello di comunicare la necessità che la guerra fredda finisse senza sfociare in un conflitto e che il mondo non continuasse a vivere perennemente investito da tempeste, pericoli e dalle ombre di una guerra nucleare.
L’Europa di oggi ha di fronte a se una negoziato che riguarda il debito e la depressione dell’economia della Grecia. Da un lato si trova il giovane governo greco. Dall’altro le potenze finanziarie europee e del mondo. Oggi come allora, la questione della paura non può essere sottovalutata.

Le potenze europee hanno tre strumenti a diposizione in questa fase iniziale dei negoziati.

Primo, la Grecia ha dei debiti in scadenza quest’anno che non sarà in grado di rimborsare.

Secondo, le banche greche si appoggiano sul fondo di emergenza della Banca Centrale Europea le cui dimensioni potrebbero essere ridotte.

Terzo, il Quantitative Easing fornisce alla Bce uno strumento capace di isolare gli altri paesi dalla ripercussioni dell’agonia greca.

L’Europa potrebbe decidere di utilizzare questi strumenti per portare avanti una politica di minacce utile a perpetuare austerità, preclusioni e miseria per la Grecia. Le minacce sono nell’aria.

Il Telegraph ha fornito una sintesi della recente riunione dei ministri delle finanze europei tenutasi il 26 di gennaio: «L’eurozona ha escluso la possibilità di una cancellazione del debito e ha avvertito la nuova coalizione anti-austerità in merito alla necessità che il nuovo esecutivo rispetti gli accordi presi in precedenza. Il portavoce del governo tedesco, il Signor Steffan Steibert, ha sostenuto, rivolgendosi agli oligarchi riuniti a Davos, che la Grecia deve mettere in atto tutte le misure necessarie affinché la ripresa dell’economia continui. E ciò significherebbe mantenere gli impegni precedentemente sottoscritti che vincolerebbero l’attuale governo ad un percorso di riforme prestabilito. O, volendo usare l’espressione adottata dal ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schauble lo scorso dicembre, le nuove elezioni non cambiano nulla».

Per i greci questi impegni rappresentano uno scherzo crudele.

Quale ripresa dell’economia? Quali obiettivi da raggiungere? Se elezioni non cambiano nulla perché tenerle?

E ovviamente, la premessa che gli impegni precedenti vanno onorati non è altro che un testardo dogma. Il risultato che si è già ottenuto grazie alla vittoria di Syriza è, sopra ogni altra cosa, l’indiscutibilità del fatto che quando delle politiche sono sbagliate sia necessario cambiarle. Il primo ministro inglese David Cameron ha riassunto l’attuale prospettiva greca con il tipico understatement britannico. «Quello che le elezioni greche mostrano è un segnale delle difficoltà in cui versa l’economia mondiale, eurozona compresa». Siamo d’accordo.

[do action=”quote” autore=”James Galbraith”]Quando le politiche falliscono, l’economia declina. I greci non sono soli nell’osservare il fallimento dinanzi ai loro occhi[/do]

Come riportato dal Telegraph, le questioni sul tavolo sono due: il negoziato ed il debito.

Per quanto riguarda il primo, la Grecia propone di ritornare padrona del proprio destino. L’esperimento del controllo esterno da parte della Troika è stato già realizzato. I risultati sono evidenti. Debbono essere messe in atto nuove politiche tese ad aiutare i bisognosi ed i più vulnerabili, utili a stabilizzare l’economia ed a favorirne la ripresa. L’esperienza dei precedenti governi greci non è stata positiva, questo è innegabile. Ma la mano pesante ed i diktat che sono seguiti hanno prodotto un disastro.

Il tema della cancellazione del debito è solo in parte una questione di risorse. L’alternativa contenuta nell’espressione «extending and pretending» è, dopotutto, una forma di trasferimento fiscale. Tale pratica, tuttavia, consiste nell’accumulare nuovo debito su quello già esistente, esattamente il meccanismo attraverso cui un paese viene messo sotto tutela, perennemente obbligato a chiedere la carità. La cancellazione coinciderebbe con il ritorno all’autonomia.

Sono proprio la forma e i termini di un tale passaggio che dovrebbero, in parte, essere oggetto dei negoziati. Colloqui con scadenze brevi, coercizione ed ultimatum significherebbero verosimilmente che l’Europa ha già deciso di evitare una discussione reale mandando a monte i colloqui stessi sin dall’inizio. Se questa è la decisione, allora l’ onere storico di questa, e del caos che potrebbe seguirne, peserà su coloro che se assumeranno la responsabilità.

Quanto potere contrattuale ha la Grecia? Ovviamente non molto; le armi pesanti sono dall’altro lato.

Ma c’è qualcosa. Il primo ministro Tsipras e la sua squadra possono presentare le loro ragioni senza avanzare minacce di alcun tipo. Dopodiché, la correttezza e la moralità delle loro controparti dovrebbe spingere a tenere le tre armi di cui si è fatta menzione fuori dalla stanza, garantendo, in particolare, risorse fiscali e stabilità finanziaria nel corso dei colloqui. Se questo accadrà, dei seri negoziati potranno andare avanti.

Rispetto a quest’ultimo punto, il ministro delle finanze Greco Yanis Varoufakis, sembra aver ottenuto credito in Francia, Gran Bretagna e negli Stati Uniti mostrando l’esistenza di un ragionevole spazio per la discussione ed il cambiamento. Forse lo stesso accadrà in Italia dopo la visita del ministro.

E la cancelliera Angela Merkel si espressa con una moderazione mai sentita prima in Germania. È possibile che si stia anche lei rendendo conto che la scelta che dovrà fare a breve determinerà il futuro dell’intera Europa.

In questa situazione, entrambi i frammenti del discorso del presidente Kennedy preparato, per inciso, da mio padre, sembrano aver valore. La Grecia non deve essere costretta a negoziare nel terrore. E l’Europa, da par sua, non deve avere paura di negoziare con calma, senza aggressività ne minacce, in buona fede.

*James Galbraith insegna all’University of Texas di Austin, ed è l’autore del libro The End of Normal.

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