Editoriale

Il disarmo di Marchionne

Il disarmo di MarchionneSergio Marchionne

Fiat-Chrysler Resta il nodo della sede centrale e del futuro italiano. Ma nessuno ne parla

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 30 gennaio 2014

Ieri il gruppo, che si può definire torinese ancora per poco, ha fornito delle notizie sui risultati di bilancio e sulla futura dislocazione delle sue sedi. Sul primo fronte le informazioni relative sia al 2013 che al 2014 appaiono deludenti, mentre quelle di tipo logistico si sono dimostrate simili, come previsto, a quanto già sperimentato con la Fiat Industrial.

Manca ancora del tutto, peraltro, qualsiasi notizia sulla dislocazione del quartier generale.

Per quanto riguarda i bilanci, i ricavi del gruppo sono stati pari nell’anno a 86,8 miliardi di euro (+ 3% sull’anno precedente), mentre l’utile netto è risultato di 943 milioni, rispetto agli 1,14 miliardi del 2012. Più analiticamente, mentre la Chrysler da sola mostra un andamento positivo ed in crescita, i dati Fiat sono in peggioramento di 124 milioni sull’anno precedente. Oltre alla solita depressione dei risultati europei, questa volta la novità è rappresentata dal peggioramento dell’America Latina ed in particolare del Brasile, che sino a ieri appariva come quella che teneva a galla tutta la baracca. Il deterioramento delle prospettive economiche del paese e il progressivo forte aumento dei livelli della concorrenza contribuiscono a spiegare il cattivo risultato.

Sul fronte finanziario, la gestione Fiat ha assorbito cassa per ben 1,6 miliardi di euro ed anche in questo caso è dovuto intervenire l’andamento positivo della Chrysler per portare a dei flussi di cassa complessivi in sostanziale pareggio.

Per quanto riguarda il 2014, si prevede un fatturato in crescita ma risultati economici ancora in discesa, mentre l’indebitamento dovrebbe fortemente peggiorare, in particolare, ma non solo, in relazione agli esborsi per l’acquisto del 41% delle azioni Chrysler che era ancora nelle mani dei sindacati Usa.

Questi dati alla fine indicano quanto sia ancora lunga la strada del nuovo gruppo sul cammino della trasformazione in un player globale, come i principali sei concorrenti del settore. Questa strada, a mio parere, il gruppo non è peraltro in grado di percorrerla con successo con le sue sole attuali e deboli forze. Attendiamo delle novità su questo fronte nei prossimi mesi e anni.

Per quanto riguarda invece la dislocazione delle varie sedi della nuova entità Fiat Chrysler Automobiles (FCA), niente che non si immaginasse già. La holding sarà in Olanda, perché nel paese è più facile che altrove controllare un gruppo con solo una quota relativamente ridotta del capitale; la sede fiscale in Gran Bretagna, perché le tasse sui dividendi vi sono più leggere; la quotazioni in borsa negli Stati Uniti, infine, perché è il più grande mercato finanziario del mondo e il gruppo avrà bisogno probabilmente di sollecitare prossimamente il risparmio del pubblico in misura rilevante, visto lo stato non brillante delle sue finanze.

Restano a questo punto due buchi informativi di peso. Da una parte quello relativo a cosa Marchionne e il fedele scudiero Elkann vorranno fare con l’Italia, l’altro, almeno in parte collegato, su dove sarà collocato il quartier generale del gruppo.

Per quanto riguarda il primo tipo di notizie sappiamo almeno che il mistero dovrebbe essere svelato ai primi di maggio, mentre per quanto riguarda il secondo, invece, nessuno ne parla.

Si può ipotizzare con una certa plausibilità che la sede centrale sarà collocata nei dintorni di Detroit; Marchionne cerca di schivare una informazione imbarazzante dicendo che il suo quartier generale si trova in aereo, dove passa la gran parte del suo tempo, ma in realtà per governare un gruppo ci vogliono, tra l’altro, i progettisti dei nuovi modelli, quelli che analizzano i conti, quelli che gestiscono il personale, e così via. Attualmente per fare queste cose lavorano a Torino intorno alle 5.000 persone e non sappiamo quante negli Usa. Con il plausibile spostamento a Detroit si può stimare molto grossolanamente che Torino perderà circa 3000 posti di lavoro, sui circa 5.000 in essere almeno sino a qualche tempo fa. Ma forse i dirigenti del gruppo, per non destare troppo clamore, cercheranno di fare il passaggio in sordina, un poco alla volta, utilizzando poi anche un po’ di dimissioni incentivate, un po’ di pensionamenti, lo spostamento negli Stati Uniti di una parte degli impiegati italiani. Chissà.

Quello che è certo che il governo italiano continua tranquillamente e con una bella faccia tosta a mantenere tutte le distanze dalla partita, come se si trattasse di una questione molto lontana da noi.

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