Il dovere di scegliere la speranza
Una guerra che nessuna cancelleria credeva possibile fino al giorno dell’invasione. Un’inflazione al galoppo che nessuna banca centrale prendeva sul serio. Una pandemia che torna in prima pagina con il testa-coda cinese sulle misure per contenerla. Manca giusto qualche evento estremo (alluvioni e siccità) e la lista dell’orribile 2022 potrebbe essere completa.
Da dieci mesi viviamo l’orrore quotidiano scatenato da Putin contro il popolo ucraino. Dieci mesi di barbarica invasione, atroci crimini di guerra, il più grande esodo di cittadini europei inseguiti dalle bombe, una popolazione civile come principale, dichiarato, persino ostentato obiettivo bellico. E ancora non si vede uno spiraglio per un cessate il fuoco che possa avviare una trattativa di pace.
Se restiamo con lo sguardo sul mondo, un altro regime insanguina il suo popolo, stupra uomini e donne, imprigiona e impicca sulle gru nelle piazze. Un massacro di ragazzi, bambini e donne affamate di libertà, disposte a giocarsi la vita piuttosto che trascorrerla come schiave del medioevale regime degli ayatollah.
Né Putin, né Khamenei, alleati nella guerra ai miscredenti dell’Occidente collettivo, metteranno facilmente fine alle loro atrocità, ma dobbiamo essere convinti che, sia per la criminale invasione putiniana, sia per la repressione assassina iraniana, serve una mobilitazione costante della comunità internazionale, dei movimenti sociali, dei governi.
Se invece volgiamo lo sguardo al nostro paese, siamo costretti a prendere atto di un 2022 nero. In ogni senso. A cominciare dal passaggio dalla padella di Draghi alla brace di Meloni che, da quasi cento giorni, insieme ai suoi azzoppati scudieri, Salvini e Berlusconi, ha in mano la «nazione». Già da questi primi decreti, voti di fiducia e «ghigliottine» che feriscono il Parlamento, si capisce che nei confronti delle istituzioni parlamentari si comporteranno come e peggio di chi li ha preceduti. E magari alla fine del 2023 saremmo persino dentro il girone del presidenzialismo e dell’autonomia differenziata.
Per certi versi è stato un anno politicamente effervescente (la replica di Mattarella al Quirinale, appunto le elezioni amministrative e quelle politiche), e quindi sul piano dei contenuti abbiamo avuto un assaggio sostanzioso. La destra fa la destra marciando spedita verso un progressivo smantellamento del welfare (come avvertono personaggi moderati come l’ex presidente del consiglio Monti). Una linea politica reazionaria, a cominciare dalla sanità, vittima di un micidiale definanziamento a vantaggio del privato. Meno tasse e meno servizi sociali. Meno reddito di cittadinanza e più voucher per alimentare la via maestra del precariato, sottraendo al lavoro il valore della dignità e del riscatto dalla povertà. Più condoni e meno politiche green. Un governo che lavora alacremente per allungare le file alle mense della Caritas.
Pedipiù questa destra, di fattura squisitamente italiana, è anche fascistoide e repubblichina, con la seconda carica dello Stato che ama convivere con i busti di Mussolini in salotto e commemorare la nascita del Msi quando il ruolo istituzionale dovrebbe suggerire la massima smemoratezza dell’appartenenza politica.
Misure antipopolari affidate alla non eccelsa qualità della compagine ministeriale, però ben assortita. Tra un ministro dell’interno, un alter ego di Salvini al Viminale, specializzato nella lotta contro le Ong, associazioni frutto delle nostre democrazie, artefice di decreti di polizia contro i raduni musicali. Un ministro dell’istruzione e del merito che ama indossare i panni di un novello Giovanni Gentile, impegnato a sradicare la politica nella scuola, mentre gli studenti degli istituti professionali muoiono del funereo esperimento scuola-lavoro. Un ministro dei trasporti al quale non affideresti nemmeno il rifacimento delle strisce pedonali e un ministro dell’ambiente che potrebbe oggi essere immortalato alla maniera in cui Fortebraccio, celebre corsivista dell’Unità, scriveva di certi personaggi della politica del suo tempo: «Si aprì la porta e non entrò nessuno, era Pichetto Fratin».
Nelle elezioni dello scorso settembre, le meno frequentate della storia repubblicana, questa destra cannibalizzata da Meloni (ricordiamo che FdI ha doppiato la Lega nelle roccaforti del Nord, dalla Lombardia al Veneto) è comunque a cavallo e può contare di restarci per tutta la legislatura. La sua tenuta dipende soltanto da quanto la presidente del consiglio saprà tenere e bada i suoi alleati. Oltretutto è evidente che un aiutino al governo arriva anche dalla buona volontà delle opposizioni, molto impegnate a facilitargli il compito. Sia quelle che già si offrono per dare una mano, come ha fatto Calenda recandosi a palazzo Chigi per dare consigli non richiesti, sia quelle che fanno la faccia feroce senza far paura a nessuno.
A cominciare dal Pd e dai 5Stelle, protagonisti di copioni diversi ma entrambi assai graditi dalla presidente del consiglio e dai suoi sodali. Lo spettacolo del Pd (artefice massimo della sconfitta del 25 settembre), incerto sulla propria identità e diviso per quattro, quanti sono i candidati alla segreteria, si muove sull’orlo del baratro, senza leader, senza una politica di alleanze. Indeciso se spostarsi a sinistra, nel tentativo di riprendersi quelli finiti nel partito di Conte, rischiando di regalare dirigenti e elettori alla coppia Renzi-Calenda.
Il M5Stelle sembra aver ripreso slancio ritrovando nel Partito democratico il vecchio nemico dei tempi della lotta alla casta. Conte si è tolto la pochette, si è messo il maglione e batte tutte le piazze del popolo, fregandosene di regalare alla destra, come è probabile se non certo accadrà nel Lazio, lunga e serena vita. L’altra sinistra rossoverde vivacchia e persino si divide attirata in parte dalle sirene pentastellate, in parte dall’alleanza con il Pd.
Se questo è quel che accade adesso, come si può sperare in un 2023 meno orribile per il paese? In nessun modo questo governo sarà in grado di invertire la rotta, migliorare le condizioni di vita e di lavoro nonostante la pioggia miliardaria già ricevuta, e quella in arrivo, dall’Europa.
Così, anche per immaginare squarci di orizzonti futuri, abbiamo voluto dedicare uno Speciale di fine anno alle esperienze, alle lotte e alle buone pratiche che, in Italia e nel mondo, si fanno strada su molti fronti: dalla flotta delle Ong che salvano le vite dei migranti, agli operai che reinventano la fabbrica, come alla Gkn, dai ragazzi del clima che si battono per salvare il Pianeta, ai popoli indigeni che contrastano il capitalismo estrattivista e che da domani avranno al loro fianco il nuovo presidente del Brasile, Lula De Silva.
Come insegnava il vecchio filosofo, anche se il timore avrà sempre più argomenti, tu scegli sempre la speranza. Buon Anno a tutte e a tutti.
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