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Il manifesto e Potere operaio: un confronto che faremo

Il manifesto e Potere operaio: un confronto che faremoNella foto degli anni ’80 Marco Pannella, Rossana Rossanda, Toni Negri e Jacob Novak

Sinistra e memoria Un gruppo di lettori, collaboratori e membri storici del giornale chiede un approfondimento sui rapporti del giornale con la figura di Toni Negri, recentemente scomparso e a cui il quotidiano ha dedicato una copertina. In calce la risposta del direttore

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 5 gennaio 2024

Caro manifesto,

siamo alcuni fra i tantissimi lettori la cui storia ha così a lungo coinciso con quella del giornale da farci rimanere sorpresi del tono e del merito degli articoli pubblicati dal quotidiano in occasione della scomparsa di Toni Negri.

Giusto era certamente ricordarlo, ma crediamo sarebbe stata indispensabile anche una riflessione critica che indicasse, oltre alla novità di alcune sue analisi, anche le conseguenze che le tesi di Negri, Potere Operaio e Autonomia operaia hanno prodotto sui movimenti degli anni ’70. Soprattutto per valutare quanto poco e come l’operaismo negriano abbia inciso sulle lotte reali degli anni ’70.

Poiché abbiamo trovato tanti compagni, non del solo manifesto, ma di una buona parte della nuova sinistra, che hanno reagito al nostro stesso modo alla lettura di quegli scritti abbiamo deciso che scrivervi per parlarne apertamente fosse la cosa più giusta ed utile da fare.

Perché quanto è stato pubblicato così acriticamente è materia molto scottante per il manifesto, ma anche per un bel pezzo della ex «nuova sinistra». Dispiace peraltro aver trovato in quelle pagine del 17 dicembre anche una sgradevole interpretazione degli scritti di Rossana che si è spesa molto nella giusta denuncia non solo del famoso teorema Calogero, ma anche di molti giudizi dati allora dal Pci sui movimenti dell’epoca, in particolare sul famoso ’77. Idee e posizioni che non hanno mai comportato condivisione politica di Rossanda con il movimento negriano.

Ci rivolgiamo a voi, redazione e direzione del manifesto, perché si tratta di una questione che coinvolge tutti quelli che al manifesto sono in qualche modo collegati, sia per ragioni di identificazione politico-culturale storica, sia perché membri della nuova cooperativa che ne è proprietaria o più semplicemente perché ne sono collaboratori frequenti.

Un tempo questa identificazione nel nome del manifesto coincideva e nessuno si è preoccupato di fare distinzioni. E infatti abbiamo sempre pensato che il compagno operaio della Fiat che aveva aiutato la nascita del quotidiano avesse lo stesso diritto di dire la sua quanto il compagno giornalista iscritto all’ordine professionale. Intendiamo dire che, salvo il diritto della cooperativa a decidere autonomamente, la forza del giornale è stata sempre mantenere un rapporto diretto con i suoi lettori, diverso da quello di ogni altro giornale privato.

Per questo, del resto, e sebbene non esista più da tantissimi anni un partito-manifesto, e nonostante le discussioni e le separazioni che ci furono alla fine degli anni ’70 fra il manifesto giornale e il Pdup, fu possibile dar vita tutti assieme, nel 1999, al mensile La rivista del manifesto, allegata al quotidiano, anche se questo non era più espressione diretta di una precisa posizione politica come era in passato.

Perché in realtà è rimasta una memoria comune forte che crediamo debba essere trattata con delicatezza. Non lo diciamo solo per noi «vecchi», ma anche perché amputarla costituirebbe un danno anche per lo stesso quotidiano di oggi. E infatti l’analisi teorica e la pratica politica del manifesto, il suo segno identitario, pur nelle sue diversità e contraddizioni, hanno reso assai più ricco e capace di produrre esperienze positive di quanto sia riuscito quell’ala dell’operaismo che faceva capo a Toni Negri.

Basti ricordare la sua opposizione alle più importanti conquiste operaie degli anni ’70 – i Consigli di fabbrica – per citare solo la lotta più importante che abbiano condotto. Non vogliamo – per carità – ingaggiare una discussione di merito sull’argomento scrivendo una lettera come fossimo normali lettori, vorremmo solo che voi sentiate il bisogno di trattare quella memoria, che è un nostro bene comune, con l’accortezza e la delicatezza che le è dovuta.

Per questo sarebbe utile trovare il tempo e i modi perché si possa avere una conoscenza meno generica di cosa sia stato il manifesto, della ricchezza del suo apporto teorico, del valore della sua esperienza politica. Perché pensiamo non sia, neppure oggi, un bene da buttare in mare.

Abbiamo fiducia nella nuova e appena eletta direzione del giornale e siamo contenti che una nuova leva si sia assunta il compito di gestirlo. Vorremmo però che ognuno di noi, giornalisti o meno, potesse continuare a riconoscersi in ciò che il manifesto nella sua pluralità e ricchezza è stato e continua ad essere, come è anche testimoniato dalla sua area politica, assai più vasta ed attiva di quanto si possa immaginare, come sanno i tanti fra noi che continuano a lavorare sul territorio.

Riflettiamoci e discutiamo le forme attraverso cui dar vita a un confronto collettivo, che potremmo eventualmente fare anche on line per consentire a tutti di partecipare senza ingombrare le pagine del cartaceo.

Massimo Anselmo, Emilio Arcuri, Franco Astengo, Roberto Bonamici, Bruno Borghini, Marino Calcinari, Valerio Calzolaio, Leonardo Casalino, Luciana Castellina, Famiano Crucianelli, Sandro Del Fattore, Franco Di Cesare, Riccardo Dello Sbarba, Diego De Podestà, Francesco Forgione, Fausto Gentili, Giuliano Guietti, Maurizio Iacono, Nuccio Iovene, Carlo Latini, Daniele Leardini, Nicola Manca, Maurizio Marcelli, Gianni Melilla, Giordano Molinazzi, Guido Pasi, Bruno Ravasio, Claudio Riolo, Massimo Serafini, Giuliana Sgrena, Vincenzo Vita, Gabrio Vitali.

La risposta del direttore Andrea Fabozzi

Care Luciana e Giuliana, cari compagni,

malgrado contenga critiche che non condivido, spiegherò il perché, vi ringrazio di questa lettera: avanzate una richiesta che sono felice di raccogliere e offrite così un’occasione di discussione alla redazione e alla stessa comunità dei lettori.

Voi proponete di trovare il tempo e i modi per dare alla redazione una conoscenza di cosa sia stato il manifesto, «della ricchezza del suo apporto teorico, del valore della sua esperienza politica». Troveremo questo tempo e questi modi, abbiamo già fissato con voi una data e sarà una discussione utile.

È vero come scrivete che la redazione è adesso composta in maggioranza da compagne e compagni giovani, ma anche così non fosse abbiamo tutti sempre qualcosa da imparare. Del resto anche a chi tra noi fa difetto l’esperienza diretta di un tratto della storia alla quale vi riferite, non mancano le conoscenze per poterla leggere in modo niente affatto «generico». Questo renderà la discussione più interessante.

Sappiamo bene, del resto, che non è stata una storia lineare, per quanto straordinaria e bellissima (bellissima un po’ anche per quello), non fanno eccezione i rapporti e i tentativi di convergenza con Potere operaio di cinquanta e passa anni fa. La straordinarietà di quella storia rende tutte e tutti noi orgogliosi, consapevoli e responsabili nel portarla avanti (per quanto mi riguarda, che giovane non sono, da ormai 22 anni). La responsabilità la sentiamo e la sento tutta.

Vengo ai punti della vostra lettera che non condivido.

Innanzitutto, scrivete che abbiamo trattato la figura di Toni Negri in maniera acritica ma questo mi pare non trovi riscontro negli articoli che abbiamo pubblicato. Sapete bene per la vostra lunga esperienza che quando si scrive in occasione di una scomparsa i toni polemici sono al contrario assai rari, nihil nisi bonum, eppure nei nostri pezzi di ormai tre settimane fa voi troverete anche diversi aspetti problematici della vita e delle riflessioni di Negri affrontati con la franchezza che è una forma di rispetto.

Probabilmente intendete criticare la grande rilevanza che abbiamo dato alla notizia, a partire proprio dalla copertina del giornale, cosa che però facciamo abitualmente quando scompare una personalità importante del nostro campo (e in realtà non solo).

Posso immaginare anche che non vi sia piaciuto il titolo di quel giorno, «attivo maestro». Ora i nostri titoli sono un po’ come le barzellette, non andrebbero mai spiegati, ma forse in questo caso è necessario farlo: si trattava (a noi quella sera era sembrato evidente) di una polemica diretta, letterale, con la destra e con il governo che per tutto il giorno avevano recuperato contro Negri la definizione montanelliana di cattivo maestro.

Sono contento di quella copertina, non penso sia stata un errore, tanto più che nella loro mediocrità i giornali del giorno dopo (con l’eccezione della Stampa con Cacciari) hanno suonato con tasti diversi lo stesso spartito da «anni di piombo», riducendo la vicenda di Toni Negri più o meno a un problema di ordine pubblico.

Caduta evidentemente nel vuoto la lezione di Rossana Rossanda sul 7 aprile che noi invece abbiamo recuperato, pubblicando dall’archivio il pezzo che lei scrisse all’indomani delle assoluzioni in appello.

Mi pare particolarmente sbagliata la critica che ci fate di aver dato una «sgradevole interpretazione» del pensiero di Rossana, non essendoci stata peraltro nessuna interpretazione ma solo la riproposizione di una testimonianza oggettiva, la sua, così forte proprio perché all’epoca isolata nel contrastare, scriveva, la «mostrificazione di Negri».

Care compagne e cari compagni che ci scrivete, in tutta franchezza io penso che in queste critiche che avete voluto rivolgerci e che naturalmente accogliamo com’è nostro dovere vi facciano velo le divisioni, le polemiche, gli scontri durissimi di cinquanta e passa anni fa.

Sarà argomento della nostra discussione e potremmo persino scoprire di avere giudizi non così distanti sul fatto storico.

Noi non ci siamo occupati di rievocare quella stagione che grossomodo potremmo collocare tra il 1969 e il 1971, gli anni in cui ci fu il tentativo di convergenza, rapidamente fallito, tra il manifesto e potere operaio, anni ai quali la vostra lettera mi pare torni ad alludere quando ricorda le divergenze sui consigli di fabbrica (invece che i comitati politici).

Potrebbe essere interessante farlo se questo ci desse degli argomenti e degli insegnamenti per le sfide che abbiamo davanti e non dietro di sé.

Noi abbiamo affrontato la morte di Negri come quella di un pensatore tra i più studiati e conosciuti all’estero, una delle non tantissime eccellenze culturali italiane che, ne sono convinto, meritava di essere trattata come tale. Come noi lo hanno fatto diversi giornali stranieri e nei giorni scorsi ci sono arrivati molti apprezzamenti per come il giornale ha trattato l’argomento.

Gli apprezzamenti sono arrivati dai lettori (è anche un dato oggettivo, il giornale di quel giorno ha venduto molto, ha fatto registrare un picco di abbonamenti, ci sono arrivate richieste di copie cartacee anche dall’estero e gli articoli dedicati a Toni Negri sono tra i più letti del mese di dicembre) ma anche da tanti collaboratori nuovi, curiosamente soprattutto dai più lontani dalle posizioni di Negri che però apprezzano il tentativo di riconoscerne il peso intellettuale. Anche voltando pagina rispetto alle feroci divisioni di tanti anni fa. Lo aveva fatto lo stesso Negri in una bella intervista che abbiamo pubblicato su Alias l’estate scorsa, intervista in cui in più passaggi spiegava che Rossanda aveva più ragione di lui, su diverse questioni.

La redazione consiglia:
Il secolo breve di Toni Negri

Care Luciana e Giuliana, cari compagni, penso che insieme al dovere di trattare con delicatezza la nostra storia al quale ci richiamate, abbiamo anche il dovere di guardare avanti.

Difendere il manifesto ha significato in questi anni e significa ogni giorno innanzitutto tenerlo in vita nell’impegno quotidiano.

Un caro saluto in vista del nostro appuntamento e di poterne parlare ancora.

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