Il mondo del lavoro povero di autonomi e dipendenti

La flat tax dei ricchi Le misure fiscali a favore delle partite Iva dovrebbero essere ben altre, dal momento che in Italia la percentuale di lavoratori poveri è particolarmente elevata tra gli autonomi, caratterizzati da bassi compensi, discontinuità nel rapporto di lavoro, misure di welfare che segmentano ed escludono

Lavoratori di un negozio di abbigliamento – LaPresse

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 17 dicembre 2022

Filippo Barbera

A chi parla l’estensione della flat tax a 85 mila euro per autonomi e partite Iva? La prevista flat tax al 15% interesserebbe le partite Iva fino a 85 mila euro di fatturato. Un insieme di lavoratori che corrispondono a circa centomila contribuenti su un totale di tre milioni e settecentomila autonomi. Il vantaggio fiscale della misura, quindi, è di circa 7-8.000 euro per il 2.7% delle partite Iva. Ne scrive “Acta”, l’Associazione che mette in rete i free-lance. Le misure fiscali a favore delle partite Iva dovrebbero essere ben altre, dal momento che in Italia la percentuale di lavoratori...

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 17 dicembre 2022

Domenico A.

Ci offre molti spunti interessanti questo articolo sul welfare del lavoro autonomo, un’occasione per riflettere su alcuni limiti di analisi e capacità di proposta dei partiti della sinistra. Ne propongo alcuni, sotto forma di domande/provocazioni (e chissà se a qualcuno interessa: finora zero interventi in questa discussione…).

un nuovo statuto del lavoro dovrebbe essere riscritto guardando, oltre che alle tradizionali forme di protezione del lavoro dipendente, anche alle nuove forme di sfruttamento del lavoro flessibile e precario che spesso prendono le forme del lavoro formalmente autonomo, sostanzialmente subordinato: l’incapacità della sinistra italiana, nelle sue espressioni politiche e sindacali, di allargare la propria base di consenso oltre i confini, sempre più asfittici, del lavoro dipendente a tempo indeterminato e dei pensionati a regime retributivo, riflette una concezione del welfare corporativa, non universalistica. Il Partito del Lavoro di cui qualcuno parla dovrebbe guardare anzitutto ai lavoratori più precarizzati e meno tutelati, che in buona parte assumono le forme del lavoro autonomo e ha carattere di prevalenza tra le giovani generazioni;
l’incapacità della sinistra di governo del nostro Paese di rappresentare questa fascia di lavoratori discende, mi sembra, non solo da difficolta (che pure esistono) di penetrazione sindacale e politica di formazioni sociali magmatiche, disperse e non facili da organizzare in soggetti collettivi, ma anche dall’inadeguatezza dell’analisi delle dinamiche del capitalismo contemporaneo fin dagli anni ottanta, quando i vincoli alla ristrutturazione capitalista imposti dalla legislazione sociale e giuslavoristica furono aggirati anche in virtù dell’esternalizzazione di produzioni e servizi, della riduzione dei costi fiscali e previdenziali rese possibili dall’introduzione (di cui la sinistra riformista dell’epoca fu protagonista) di nuove forme contrattuali flessibili;
il tema dell’equità fiscale, previdenziale e delle opportunità di welfare tra diverse categorie di lavoro è, in ultima analisi, un enorme tema generazionale, non essendo un mistero che l’esclusione dalle forme di protezione sociale che sono il vanto della sinistra socialdemocratica europea riguarda principalmente proprio le generazioni di lavoratori meno anziane (grosso modo identificabili in quanti hanno iniziato a lavorare dopo la riforma previdenziale del 1996). Domandatevi perché il profilo dell’elettore mediano di sinistra corrisponde a quello di un pubblico dipendente di mezza età, mentre i giovani votano le estreme (soprattutto di destra) o i populisti del M5S.
Postilla: a sinistra non si va lontano se non si torna a parlare di cose concrete come le nuove tutele del lavoro, l’estensione davvero universale del welfare, le dinamiche contemporanee della concentrazione capitalista e della pauperizzazione dei ceti medi. Basta con il derby emiliano Schlein-Bonaccini, basta stracciarsi le vesti per qualche idolo mediatico sopravvalutato e altrettanto rapidamente caduto in disgrazia.

8 commenti Commenta

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

Per continuare a leggere, crea un account gratuito

Registrati

Hai già un account? Accedi

Domenico A.

un nuovo statuto del lavoro dovrebbe essere riscritto guardando, oltre che alle tradizionali forme di protezione del lavoro dipendente, anche alle nuove forme di sfruttamento del lavoro flessibile e precario che spesso prendono le forme del lavoro formalmente autonomo, sostanzialmente subordinato: l’incapacità della sinistra italiana, nelle sue espressioni politiche e sindacali, di allargare la propria base di consenso oltre i confini, sempre più asfittici, del lavoro dipendente a tempo indeterminato e dei pensionati a regime retributivo, riflette una concezione del welfare corporativa, non universalistica. Il Partito del Lavoro di cui qualcuno parla dovrebbe guardare anzitutto ai lavoratori più precarizzati e meno tutelati, che in buona parte assumono le forme del lavoro autonomo e ha carattere di prevalenza tra le giovani generazioni;
l’incapacità della sinistra di governo del nostro Paese di rappresentare questa fascia di lavoratori discende, mi sembra, non solo da difficolta (che pure esistono) di penetrazione sindacale e politica di formazioni sociali magmatiche, disperse e non facili da organizzare in soggetti collettivi, ma anche dall’inadeguatezza dell’analisi delle dinamiche del capitalismo contemporaneo fin dagli anni ottanta, quando i vincoli alla ristrutturazione capitalista imposti dalla legislazione sociale e giuslavoristica furono aggirati anche in virtù dell’esternalizzazione di produzioni e servizi, della riduzione dei costi fiscali e previdenziali rese possibili dall’introduzione (di cui la sinistra riformista dell’epoca fu protagonista) di nuove forme contrattuali flessibili;
il tema dell’equità fiscale, previdenziale e delle opportunità di welfare tra diverse categorie di lavoro è, in ultima analisi, un enorme tema generazionale, non essendo un mistero che l’esclusione dalle forme di protezione sociale che sono il vanto della sinistra socialdemocratica europea riguarda principalmente proprio le generazioni di lavoratori meno anziane (grosso modo identificabili in quanti hanno iniziato a lavorare dopo la riforma previdenziale del 1996). Domandatevi perché il profilo dell’elettore mediano di sinistra corrisponde a quello di un pubblico dipendente di mezza età, mentre i giovani votano le estreme (soprattutto di destra) o i populisti del M5S.
Postilla: a sinistra non si va lontano se non si torna a parlare di cose concrete come le nuove tutele del lavoro, l’estensione davvero universale del welfare, le dinamiche contemporanee della concentrazione capitalista e della pauperizzazione dei ceti medi. Basta con il derby emiliano Schlein-Bonaccini, basta stracciarsi le vesti per qualche idolo mediatico sopravvalutato e altrettanto rapidamente caduto in disgrazia.

8 commenti Commenta