Il muro colorato dai sogni del Venezia Mestre
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Il muro colorato dai sogni del Venezia Mestre

Il murale del Bae

Venezia Il murale del Bae, sulla strada per Venezia, sarà abbattuto e ricostruito. I mattoni dell’opera, dedicata al «papà» degli ultrà del Mestre, venduti per finanziare la resistenza in Rojava

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 6 febbraio 2020

È lungo cento metri. I disegni e i colori forti e vivaci richiamano il folklore e le tonalità tipiche degli indigeni del centro America: il rosso del tramonto ed il verde della selva. I colori del calcio Venezia. Le grandi lettere che compongono la scritta «Bae per sempre» sono completate da due frasi scritte più in piccolo: «I sogni attraversano gli oceani» e «Dalla laguna alla selva Lacandona».

È LUNGO CENTO METRI, il murale del Bae, e se ne sta su quel muro che costeggia via Libertà da quasi vent’anni. Da quando, dopo la morte di Francesco Romor, avvenuta nel febbraio del 2001, a soli quarant’anni, i suoi amici dello stadio e del centro sociale Rivolta gli hanno dedicato l’opera.

Chi arriva in auto a Venezia non può fare a meno di passarci accanto e, se non è del posto, di domandarsi cosa abbia in comune la città dei Dogi con la selva messicana. Via della Libertà è l’unica strada di accesso al lungo ponte che collega Venezia alla terraferma. Impossibile non notarlo e non rimanere colpiti da quella lunga esplosione di colori sempre vivaci. Ogni anno, il giorno del compleanno del Bae, i suoi amici rimettono mano ai pennelli ed alle vernici per riportare il murale al suo originario splendore coprendo il grigiore dei fumi di porto Marghera che, da queste parti della laguna, sono perennemente in agguato.

REALIZZATO A RIDOSSO del ponte della Libertà, il murale del Bae è esso stesso un ponte verso la libertà. Quell’esplosione di colori che lo compongono non sono solo un benvenuto a tutti coloro che arrivano a Venezia ma anche una esortazione a continuare a sognare perché è «con i sogni che si attraversano gli oceani». Quegli oceani che il Bae non ha potuto attraversare perché è scomparso proprio mentre stava per partire per il Messico per partecipare alla marcia della dignità indigena, o del Colore della Terra, come l’aveva pittorescamente chiamata il subcomandante insorgente Marcos. Quell’anno, dai centri sociali del nord est, partì per il Chiapas un centinaio di ragazze e di ragazzi riuniti nell’associazione Ya Basta. Tutti col Bae nel cuore.

Francesco Romor, il BaeCALCIO E LIBERTÀ. La storia del Bae. «Lui sapeva tenere insieme tutto e tutti – ricorda l’amico Franz Peverieri -. Era il papà degli ultras delle curva del Venezia Mestre. Piena di ragazzi che vedevano nel calcio un qualcosa capace di regalare sogni. Abbracciavamo i colori delle nostre squadre sapendo che nulla avevano a che fare col colore della pelle. Alla base del nostro tifo c’erano valori e passioni scevre da fascismi, razzismi e xenofobia». Una strada che ha portato il Bae ed i suoi ragazzi dagli spalti del Penzo, lo stadio del Venezia, ai centri sociali del nord est. Dentro il Rivolta di Marghera, gli ultras ritagliarono un loro spazio di militanza quotidiana creando la famosa Osteria allo Sbirro Morto, di cui il Bae era il rinomato cuoco. «Sino agli ultimi istanti di vita, il Bae ha continuato il suo impegno che univa passione per il calcio e sete di giustizia. Quando è scomparso, abbiamo piantato un albero nel giardino del Rivolta e poi, quando siamo andati in Messico, lo abbiamo portato con noi, e lo abbiamo ripiantato dove lui avrebbe voluto andare: a Guadalupe Tepeyaca, nel cuore della Selva Lacandona. Un villaggio che gli zapatisti hanno restituito ai suoi abitanti, liberandolo da sette anni di occupazione militare da parte dell’esercito federale».

IN COLLABORAZIONE con Ya Basta, gli amici di Francesco realizzano il progetto chiamato «Lo stadio del Bae» di supporto alle comunità indigene della rebeldia zapatista. L’idea iniziale era di costruire uno stadio a lui dedicato, ma, in accordo con la Junta de Buen Gobierno, hanno realizzato molto di più: un acquedotto a Guadalupe Tapeyac, l’erbolario di medicina tradizionale al caracol de la Realidad, campi da basket, falegnamerie e officine e altri progetti come Agua para todos e la commercializzazione del caffè zapatista. Grazie al sostegno di tante associazioni legate al «futbol rebelde» italiane e anche europee, come gli ultras tedeschi del Sankt Pauli, lo Stadio del Bae riesce a raccogliere quasi 100 mila euro che negli anni successivi saranno devoluti alle comunità ribelli indigene. Tutti progetti che, con altre formule e con altri finanziamenti, ancora sono portati avanti dalle associazioni Ya Basta di tutta l’Italia.

LE RUSPE NON CANCELLANO i sogni. Sogni che non finiscono mai, quelli rappresentati dal murale del Bae. Sogni che attraversano gli oceani ma che rischiano di crollare sotto le ruspe che dovranno aprire la strada al nuovo piano di viabilità varato dal Comune di Venezia. Già. Il murale del Bae dovrà essere abbattuto per fare spazio ad una nuova strada. I cantieri sono già stati aperti e, tra non molto, Venezia dovrò dire addio allo storico muro. Non sarà però un addio al murale.

Il valore sociale ed artistico di questo che è uno dei primi esempi di street art mestrina è stato riconosciuto anche da una amministrazione comunale come quella di Venezia che certamente non è molto sensibile alle battaglie che stavano a cuore a persone come Francesco Romor. L’assessore alla Viabilità, Renato Boraso, ha garantito che sarà concesso uno spazio uguale nel nuovo muro che fiancheggerà la strada. Un gruppo di consiglieri bipartisan ha aperto un confronto con Ya Basta e le associazioni dei tifosi del Venezia per trovare una soluzione comune. Anche il presidente della municipalità di Marghera, Gianfranco Bettin, ha invitato il Comune ad aprirsi al confronto con la famiglia e gli amici di Romor.

RESTA PERÒ UN MURALE da abbattere. Un murale su cui sono stati riversati, assieme ai colori, anche tanti sogni. «Abbatteremo il muro ma salveremo il murale, rilanciando le battaglie in cui Francesco credeva – conclude Franz -. E lo faremo usando la nostra creatività. L’idea su cui stiamo lavorando è quella di smontare l’opera e vendere i singoli mattoni. Il ricavato lo destineremo ad altri progetti di resistenza e di solidarietà». Quali? «Se il Bae fosse ancora con noi, il suo cuore oggi sarebbe nel Rojava, assieme ai curdi che combattono contro l’aggressione turca. Con gli amici di Ya Basta stiamo valutando come realizzare questo progetto. Il nostro amico, ne siamo sicuri, sarebbe contento».

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