Editoriale

Il prezzo non è giusto

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Sono passati appena sette giorni da quanto l’Istat ha certificato che siamo rientrati in recessione tecnica, dopo esserne usciti per un solo trimestre alla fine del 2013. Ora sempre l’Istat […]

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 13 agosto 2014

Sono passati appena sette giorni da quanto l’Istat ha certificato che siamo rientrati in recessione tecnica, dopo esserne usciti per un solo trimestre alla fine del 2013. Ora sempre l’Istat ci informa che siamo vicini alla soglia della deflazione. In luglio 2014 i prezzi al consumo diminuiscono dello 0,1% rispetto a giugno 2014, e su base annua l’inflazione tendenziale passa da 0,3% a 0,1%. Vi sono certo effetti stagionali, ma la riduzione dell’inflazione ed ora la deflazione sta accompagnando l’Italia negli anni della crisi. L’inflazione era al 3% nel 2012, al 2,8% nel 2011. Più indietro, nel 2008 eravamo al 3,3%, discesa poi con la crisi nel 2009 e risalito con la ripresa nel 2010 e 2011. Ma nel luglio 2013 era tornata all’1,2% annuo, e da allora ha quindi perso 1,1 punti percentuali. Il peggioramento è quindi forte nell’ultimo anno. Colpiscono i dati regionali e macro-regionali. Il Nord-Ovest è in deflazione (-0,1%) mentre abbiamo inflazione zero nel Nord-Est ed in Centro Italia.

Regioni dove si è affermata la deflazione sono quelle ad economia forte ed industriale. Ciò conferma la gravità della crisi in cui versa il paese. Bloccata la domanda interna, i consumi delle famiglie in frenata per effetto anche delle politiche restrittive, gli investimenti privati e pubblici in forte contrazione, causa i tagli alla spesa pubblica e le aspettative sempre peggiori per le imprese, solo la domanda estera ha mostrato sin qui qualche dinamismo, ma anche essa segna il passo (-0,2% il suo contributo netto alla diminuzione del Pil nell’ultimo trimestre).

Così l’economia italiana dello 0%, crescita zero del reddito reale e crescita zero dei prezzi, con tendenza ad andare sotto lo “zero” a fine 2014. Quando l’impresa non vende perché la domanda ristagna, riduce i prezzi per conquistarsi una fetta di quella stagnante domanda, sottraendola agli altri: “È la concorrenza, bellezza!”, ma oltre ad un certo limite il rischio è la chiusura. Con dinamiche dei prezzi sempre meno positive da anni, siamo ora giunti a dinamiche negative. Chi ha in programma spese per consumi e beni durevoli si aspettava sino ad ora prezzi con aumenti sempre più deboli; ora si può attendere prezzi addirittura in diminuzione. Una ragione in più per dilazionare nel tempo le decisioni di acquisto: così ragiona il singolo acquirente. Mettete assieme tanti singoli acquirenti, e la domanda di mercato si contrare per tutti.

A livello macro dobbiamo però soddisfare i vincoli europei, deficit e debito su Pil. Non solo il rapporto deficit/Pil risente della crescita nulla del Pil, che peraltro riduce le entrate dello Stato e quindi innalza il deficit, ma rende impossibile ogni operazione di consolidamento fiscale sul debito.
Con inflazione in diminuzione, o addirittura deflazione, il debito diventa più gravoso per tutti i debitori, che potevano trarre vantaggio da un’inflazione che non c’è più. Ogni riduzione del debito via avanzi primari nei conti pubblici peggiora la situazione: drenando domanda dal mercato, abbassa il Pil. Il debito non si ripaga con la deflazione, lo si peggiora.

Il terzo problema è su scala europea. La Bce ha una missione da compiere: tenere l’inflazione sotto controllo, con target 3%. Era il tasso di inflazione dell’Eurozona nel 2008. Da allora l’inflazione si è ridotta, sino ad arrivare allo 0,5% annuo del 2014. La Bce non sta svolgendo il suo compito. Chiede agli Stati periferici addirittura che le riforme strutturali siano governate dalla tecnocrazia europea e che gli Stati nazionali cedano sovranità alle istituzioni europee. Draghi annuncia che interverrà per riportare l’inflazione al target 3%, ma non lo sta facendo.

Le tensioni geopolitiche peggiorano assai il quadro, ed in Europa stiamo andando verso una deflazione generale. Finlandia, Spagna, Grecia, Olanda, lo erano già alla fine del 2013, altri paesi si aggiungono nel 2014, tra cui l’Italia. Anche i paesi dell’Europa continentale non stanno bene, la Francia anzitutto, ma ora in Germania frenano gli ordini per le imprese, rallenta la crescita ed anche l’inflazione si abbassa. Eppure la richiesta di riforme strutturali si accompagna sempre a quella di flessibilizzare il lavoro e le sue retribuzioni verso il basso. L’opposto di quello che servirebbe; le retribuzioni governano i prezzi, assieme alla produttività, e la loro stagnazione contribuisce alla stagnazione dei prezzi e quindi alla deflazione.

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