Editoriale

Il tempo delle volpi

Beh, qualcosa abbiamo rimediato: la spaccatura della tradizionalmente infrangibile e inattaccabile falange berlusconiana; e la sempre più probabile espulsione dalle aule parlamentari di Silvio Berlusconi, il quale aveva contribuito potentemente […]

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 19 novembre 2013

Beh, qualcosa abbiamo rimediato: la spaccatura della tradizionalmente infrangibile e inattaccabile falange berlusconiana; e la sempre più probabile espulsione dalle aule parlamentari di Silvio Berlusconi, il quale aveva contribuito potentemente a degradarle nel corso di ben due decenni. L’uno e l’altro risultato rappresentano un effetto positivo del governo delle «larghe intese»: il primo in maniera inequivocabile e diretta; il secondo, reso più sicuro e inevitabile dallo spappolamento del fronte berlusconiano, nel senso che il cosiddetto «Nuovo CentroDestra» continuerà certo a votare contro la decadenza di Berlusconi, ma convinzione ed esiti negativi ne risulteranno incomparabilmente indeboliti (anche per loro, adesso, la decadenza rappresenta un grosso favore).

Il 2013 è un anno machiavelliano: vi ricorre infatti il cinquecentenario (più o meno) della stesura del Principe. Nel chiuso un po’ soffocante delle aule universitarie se ne è celebrata la ricorrenza (nemmeno tanto, a pensarci bene). Il paese, invece, – e cioè l’Italia, cui il Segretario fiorentino cercò invano di parlare, e che avrebbe ancora tanto da imparare da lui – è restato sostanzialmente indifferente: come, del resto, sempre più nei confronti di qualsiasi altra memoria del proprio non ignobile passato, che potrebbe aiutarlo a risalire dal proprio miserabile presente.

Machiavelli osserva nel Principe (cap. XVIII) che il buon principe deve avere insieme le qualità della «volpe» e quelle del «leone»: «Perché il leone non si difende dai lacci (inganni), la volpe non si difende dai lupi». E conclude: «Bisogna adunque essere volpe a conoscere i lacci e leone a sbigottire (spaventare) i lupi». Cioè: il buon principe deve esser capace, a seconda delle circostanze, d’esser leone e d’esser volpe, forte e astuto a seconda dei casi, oppure, se è necessario, astuto e forte insieme, se la situazione lo richiede e le sue qualità lo consentono. E’ un’impresa difficilissima, che non è riuscita a molti nella storia.
Il nostro tempo – tempo italiano, ma forse europeo, forse mondiale – è un tempo di volpi. Il nostro Presidente, Giorgio Napolitano, è, machiavellianamente, volpe di classe, (come del resto lo è anche Papa Bergoglio, – volpe buona, s’intende!, con il quale infatti così bene si capiscono). E una volpe, minore ma niente male, si è rivelato anche il nostro presidente del consiglio, Enrico Letta, bravo a muoversi su di un sentiero accidentato in mezzo alla foresta. Le volpi – non c’è niente di negativo in questa definizione, a tener conto dei suoi aspetti generali – tengono la scena saldamente, la storia attuale ne è improntata.

E il leone, o i leoni? Il leone si è ritirato nelle sue tane misteriose, da dove sarà difficile persuaderlo a tornar fuori, a meno che il richiamo non sia particolarmente convincente e imperioso. Ma tornerò su questo punto in conclusione.

Meditiamo un istante su quello che appaiono essere oggi il presente e il destino futuro della sinistra italiana (sinistra? insomma, questa cosa informe e ingovernabile che sta un poco più in là del neocentrodestra recentemente costituito). Essa è il frutto di una serie prodigiosamente lunga, ormai quasi trentennale, di «astuzie» politiche (e non di rado anche personali: faccio questo fondamentalmente perché serve a me), che si sono succedute nel tempo a opera di un gruppo dirigente che si è creduto tanto scaltro da cadere sovente nella stupidità.

Se Matteo Renzi, a quanto pare, è il nostro futuro, questo vuol dire che la Bolognina, la prima grande ganzata della nostra storia di sinistra è arrivata finalmente al suo traguardo finale e, doppiata la boa della storia, è libera di andare su rotte e verso approdi per noi da qui in poi perfettamente sconosciuti. Renzi, infatti, è anche lui, ahimè, una volpe, ma di quella specie inferiore che riesce a penetrare nei pollai solo perché i loro (presunti) custodi hanno perso la capacità di preservarli. Se poi fosse vero che il suo successo elettorale dipende soprattutto dalle regioni considerate tradizionalmente di sinistra, il quadro risulterebbe ancor più sconvolgente e drammatico: vorrebbe dire infatti che lì, dove meglio si poteva, invece di allevare leoni e buone volpi, si sono allevati in grande maggioranza polli da offrire alla prima, modesta, volpicina di passaggio.

In proposito non ho dubbi di sorta. Poiché visibilmente non siamo in grado come Federico il Grande di condurre una battaglia contemporaneamente su tutti i fronti, in questo momento il primo, forse esclusivo obiettivo è tentare d’impallinare Renzi prima che s’impadronisca del pollaio. Ma come si fa se il suo elettorato alle primarie è incalcolabile e dunque ingovernabile alla buona luce della ragione? Mi capita spesso di essere presidente di un condominio, quello in cui abito, ovviamente: se, al momento del voto, o dei voti, invitassi i passanti che circolano sotto casa a parteciparvi alla stessa stregua degli altri, gli altri utenti del palazzo dove abito mi prenderebbero per matto. E’ invece esattamente quello che capita ora in seno al Pd: frutto anche questa volta dell’astuzia stupida dei maggiorenti, il Segretario può essere scelto, magari a maggioranza, non dai condomini, ma dai dirimpettai, interessati a smontarne, ad esempio, tutta la facciata (così, certo, sembrerà tutto più nuovo).

In ogni caso, sia che la volpicina di turno, in cui l’astuzia diventa furbizia di bassa lega, venga frenata, sia che riesca a conquistare il posto cui aspira, il problema resta. Il leone, l’ho già ricordato, non è necessariamente un soggetto diverso dalla volpe: per Machiavelli l’ideale è invece che stiano congiunti nella medesima persona, meglio, nel medesimo soggetto storico. Allora la volpe diventa quel che dev’essere, e cioè l’astuzia messa al servizio di una buona causa.
E cioè: il leone è l’altra faccia della politica. E cioè: il leone è la forza che incarna l’astuzia e la rende efficacemente operante, sia contro i lupi sia contro gli inganni, che, dice Machiavelli, da ogni parte ci avvolgono e cimentano.

Da quando non abbiamo più i Principi (chissà se è stato un vantaggio), il binomio volpe-leone, il moderno Principe, si è incarnato il più delle volte in un’identità collettiva: l’organizzazione (anche questa non è una grande novità, o no?). I grandi uomini della sinistra europea otto-novecentesca lo avevano perfettamente capito. In parole povere: stiamo messi malissimo perché il problema di un’organizzazione politico-sociale orientata chiaramente a restituire potere (in tutti i sensi) a tutti quelli che, dal punto di vista sociale, economico e politico, ne hanno sempre più incredibilmente sempre meno, da alcuni decenni non è stato più posto con chiarezza, anzi non è stato posto per niente.

Allora: che vinca Renzi o auspicabilmente che perda, il problema resta questo. E cioè: possibile che il XXI secolo, ossia la gloriosa postmodernità, si accontenti d’essere soltanto il tempo delle volpi, e non più dei leoni? Ammettiamo pure che «partito» sia metafora vecchia di una cosa nuova che dobbiamo reinventare; ma la sostanza è questa, e alla sostanza «partito» bisogna tornare a pensare.

Come in tutti i ragionamenti in cui ambiziosamente contingenza e storia si mescolano insieme, anche in questo dev’esserci un apprezzamento anche molto rischioso, ma ineliminabile, del presente. Lo spazio temporal-politico che ci lascia la sopravvivenza del governo Letta, ora forse meno precaria di quanto non sembrasse fino a qualche giorno fa, va occupato, per quanto ci riguarda, da questo compito strategico ineliminabile. Dunque: il governo Letta non è in questo momento il nemico principale; il nemico principale è l’ulteriore degenerazione della sinistra, quella che ci resta e quella che rischia di avanzare sotto i nostri occhi. Affermazione veramente scandalosa, me ne rendo conto: per ora, questo governo più dura e meglio è.

E’ così che si fa: muoversi, calcolando esattamente il rapporto che passa fra le condizioni preo-ordinate e costrittive del lavoro che facciamo e l’obbiettivo che ci si propone di raggiungere. Tanto meglio se, combattendo Renzi, questa ipotesi si riaffaccia e s’impone come centrale anche all’interno del dibattito congressuale del Pd. Se non si opera così, il leone resterà segregato nella sua tana, le volpi, anzi le vulpecule affamate di spazio e di potere, dilagheranno sempre più a fare strage dei polli che noi siamo.

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