Editoriale

Il vivente non-umano parla di noi

Il vivente non-umano parla di noi

La pelle dell'orsa Dovremmo dunque uccidere l’orsa perché l’abbiamo umanizzata, rendendola simile a noi, alla nostra aggressività, quella sì scientemente omicida. Invece, senza fare un processo fatti alla mano, sappiamo che l’aggressività degli orsi non è contro l’uomo

Pubblicato più di un anno faEdizione del 20 aprile 2023

Martedì sera la giornalista che ha aperto il Tg1 con le principali notizie del giorno ha esordito con «Arrestata l’orsa Jj4», per correggersi subito dopo: «catturata». Ecco il punto. Ora arrivano in molti, montanari tosti e amministratori in cerca di consenso armato.

Insieme a tanti opinionisti inesorabili nella distanza televisiva a chiedere che Jj4 sia abbattuta a fucilate o con intervento chimico perché responsabile dell’uccisione del giovane e sfortunato Andrea Papi. Insomma, come nel mondo per un omicida viene evocata e praticata la pena di morte, secondo il principio di vendetta individuale, di comunità e di Stato, cioè la scellerata legge del taglione che dà la morte a chi la morte ha provocato. Ecco che nei confronti dell’orsa Jj4 abbiamo la stessa logica manettara e giustizialista che abbiamo verso i rapporti umani e sociali – tanto più se la colpevole non è «italiana» ma immigrata a forza com’è Jj4.

Dovremmo dunque uccidere l’orsa perché l’abbiamo umanizzata, rendendola simile a noi, alla nostra aggressività, quella sì scientemente omicida. Invece, senza fare un processo fatti alla mano, sappiamo che l’aggressività degli orsi non è contro l’uomo: se diventano tali è solo per paura e difesa.

Così deve essere tragicamente stato, perché l’orsa è stata in fuga per giorni con i suoi tre cuccioli, per difendere i quali deve aver scatenato, per istinto animale, la sua aggressività mortale. Adesso «agli arresti» in un recinto protetto dove aspetta inconsapevole la sorte, è credibilmente ancora più aggressiva perché è stata separata dalla cucciolata.

E mentre anche la madre del giovane runner, pur travolta dal dolore, dichiara: «No all’abbattimento, vogliamo solo giustizia» – vuol dire, troviamo le responsabilità degli uomini – , da più parti si insiste che «se l’animale minaccia l’uomo come si fa a non stare con l’uomo..?».

Eppure una cosa è difendersi anche in modo duro al momento di un’aggressione, un’altra è meditare ed eseguire una vendetta a freddo. L’esecuzione, se dovesse accadere, apparirebbe ancestrale, vale a dire ci riporterebbe alla nostra peggiore natura animale. Per noi che non dovremmo essere fatti a vivere come bestie. Non è questione di animalismo integralista, ma proprio di umanità e ragione.

Pietro Ingrao come poeta e non solo, ricordava a tutti noi che il livello di sviluppo della nostra società fondata su sfruttamento e mercificazione è arrivato al grado zero di distruzione delle risorse e dell’ambiente – defraudato, antropizzato, abusato dalle guerre – , che non c’è più nulla da dominare fuori di noi, ma solo da organizzare «dentro» una società libera e superiore. Per questo insisteva che le piante, gli animali tutti, feroci e domestici, essendo il «vivente non umano» che ci rimane, andrebbero custoditi con cura estrema. Altrimenti l’animale assassino siamo noi.

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