In fondo alla crisi
Un giovane ghanese ha aggredito a Milano a colpi di piccone tre passanti. A Ragusa un uomo di 64 anni si è dato fuoco, coinvolgendo la figlia, la moglie e […]
Un giovane ghanese ha aggredito a Milano a colpi di piccone tre passanti. A Ragusa un uomo di 64 anni si è dato fuoco, coinvolgendo la figlia, la moglie e […]
Un giovane ghanese ha aggredito a Milano a colpi di piccone tre passanti. A Ragusa un uomo di 64 anni si è dato fuoco, coinvolgendo la figlia, la moglie e due vigili, perché la sua casa è stata messa all’asta a causa di un debito. Gesti di follia diversi nella loro maturazione, nelle loro cause deflagranti. Il caso di Ragusa ci offre l’evidenza di un fatto estremamente angosciante che agisce da detonatore comprensibile e ci consente emozioni più articolate.
Sentiamo la disperazione che crea lo sgretolamento sociale e proviamo dentro di noi la rabbia e l’esasperazione per l’incapacità delle istituzioni a far fronte alla precarietà sempre più diffusa che la crisi provoca. Abbiamo sentimenti di indignazione nei confronti di un potere economico sempre più avido e nascosto, che nel momento della sua più grande delegittimazione non rinuncia alla sua pretesa irrazionale di spremere denaro da chi ha ridotto, con la sua incapacità di produrre lavoro, in miseria.
Viviamo la depressione che si diffonde nella società e intuiamo la forza autodistruttiva che può sprigionare il rancore rivolto a se stessi nell’ultimo tentativo di salvare un bene comune che sta diventando inafferrabile. E percepiamo nel fuoco che dal corpo del muratore ragusano si espande ai corpi di altri, che il congedo doloroso dei pensionati di Ancona sta diventando violenza pronta ad estroflettersi.
La depressione non distrugge l’oggetto perduto, è una speranza smarrita che resta ragione di sé. Se continueremo a fronteggiarla con l’eccitazione, con la dispersione dei desideri e dei pensieri che rende i legami evanescenti, la convivenza sociale esploderà. Nello stesso modo in cui è esplosa la pazzia del giovane ghanese: come violenza incoercibile nei confronti di chi attraversa la propria strada, del nemico casualmente diventato minaccia mortale nel momento della massima confusione dentro di sé. Cosa esattamente ha scatenato la furia omicida in lui non lo sappiamo: il suo gesto appare oscuro, impenetrabile. Un buio che cala nella capacità di pensare: un superamento dei limiti che rendono riconoscibili almeno le cause scatenanti che segnala il momento del più grande allarme, il punto del non ritorno oltre il quale la prevenzione della violenza diventa impossibile.
È facile scaricare sui pazzi la violenza che abita il corpo sociale, usare la loro estrema vulnerabilità per renderli estranei a noi, far leva sulla deformazione della loro esperienza psichica per negare che sono fatti della nostra carne, della stessa materia del nostro desiderio. Lo spettacolo del folle omicida sulle strade di Milano ha le stesse ragioni delle stragi collettive: il congelamento delle emozioni e dei sentimenti e l’offuscamento della rappresentazione della realtà. È inutile cercare motivazioni interne dove si apre un buco nell’interiorità. Si può cogliere, nondimeno, lo scenario esterno in cui nasce la catastrofe psichica (collettiva o individuale): la povertà dei desideri e dei legami e la solitudine siderale che la povertà materiale e culturale esacerbano.
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