Editoriale

Jihad contro passato e presente

Jihad contro passato e presenteI danni inferti alla testa di una delle figure alate di Nimrud

Rasi al suolo l’antico centro capace di narrare la storia con prodigiosi rilievi, i palazzi che ricevettero gli avori di maestri siriani e fenici. La piazza che ospitava l’obelisco nero […]

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 7 marzo 2015

Rasi al suolo l’antico centro capace di narrare la storia con prodigiosi rilievi, i palazzi che ricevettero gli avori di maestri siriani e fenici. La piazza che ospitava l’obelisco nero di Salmanassar III, con scene di conquista e tributo raccontate grazie a straordinarie essenziali figure.

La frantumazione dell’antica Nimrud, luogo basilare per la storia e l’arte antica è, dopo le mura di Ninive e il Museo di Mosul, un’altra lacerazione profonda al patrimonio irripetibile della Mesopotamia.

La Terra dei Due Fiumi, prima devastata dalle guerre del petrolio volute da America e occidente, riceve la furia distruttrice di Isis, figlia di una modernità in polvere, creatura degli Stati Uniti d’America dai quali non manca di prendere valori. È come che si chiuda un cerchio: l’occidente inventa l’oriente, esalta il patrimonio mentre ne conquista la terra. E infine il patrimonio, assieme al grande paese, muore pezzo a pezzo.

Non una, ma due sono le guerre, rivolte al presente e al passato, interpretate nelle devastazioni del cosiddetto ‘Stato Islamico’: operate sul patrimonio archeologico e ciò che esso presuppone, contro un impensabile, eversivo concetto pubblico di bene culturale, e la storia che racconta vicende costruendo identità nei luoghi. Contro l’idea della differenza e del bene comune che unisce le comunità nell’esperienza del paesaggio. Tutto questo viene, assieme alla modernità, polverizzato fisicamente e simbolicamente.

È proprio il senso del paesaggio mutevole (non solo delle mura e dei magici tori androcefali), che ogni fase storica disegna dando espressione alla sua esperienza, ad essere aggredito per tale essenziale ‘mutevolezza’. Con una parata agghiacciante, esplicita di ruspe, che richiama quella surreale dei lussuosi fuoristrada, a decine, del califfato nero (chissà se poi così lontano dalle pratiche distruttive, meno spettacolari ma ordinarie, della speculazione edilizia della nostra civiltà di fronte ai ritrovamenti archeologici, assieme al desiderio di imbrigliare in leggi speciali l’ostacolo del passato).

Le immagini viste oggi sono ferite ancora calde. C’è materia di riflessione, necessità di tempo, urgenza di scelte e decisioni. Due grandi problemi meritano idee e azioni immediate: siamo in grado di produrre, a livello internazionale, una difesa del cosiddetto patrimonio dell’umanità? Di pensare ad una forza internazionale, non solo occidentale, a tutela di questi luoghi? Ad avere il coraggio, e la cultura, di questa difesa e ‘interposizione’?
Ancora: pare assodato che Isis operi nella vendita di oggetti archeologici dell’antico oriente, provenienti da suoi scavi clandestini e magari anche da queste distruzioni. Sapremo produrre almeno una moratoria per un tempo congruo, o addirittura un divieto, degli acquisti dei manufatti archeologici vicino-orientali da parte di musei e gallerie d’asta?

Guardo ancora le immagini della sala del trono B del re Assurnasirpal II, e mi è difficile accettare ciò che è successo.

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