Editoriale

La ciliegina sulla torta

Applausi dalla destra, fischi dalla sinistra. Come succede dall’inizio dell’era Renzi. Proprio in questi giorni, quando il governo festeggia il primo anniversario del suo governo, la ciliegina sulla torta arriva […]

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 21 febbraio 2015

Applausi dalla destra, fischi dalla sinistra. Come succede dall’inizio dell’era Renzi. Proprio in questi giorni, quando il governo festeggia il primo anniversario del suo governo, la ciliegina sulla torta arriva con il consiglio dei ministri che brinda alla cancellazione dell’articolo 18 e offre il dolce preferito dagli imprenditori: il via libera ai licenziamenti collettivi.

Del resto l’antipasto lo avevamo assaggiato con il decreto Poletti, un ministro così sensibile al bisogno di lavoro dei giovani da ridurli ad accettare esattamente le stesse condizioni di precarietà precedenti. E ora ecco il piatto forte con il Jobs act, il funerale dello Statuto dei lavoratori, il battesimo della magna carta di quel che resta dell’impresa.

Naturalmente si dà in pasto alla propaganda l’avvento del regno del Bengodi per tutti i lavoratori. Il presidente del consiglio promette («adesso mutui, ferie, diritti») e assicura che da domani, di fronte a un lavoratore senza diritti, gli imprenditori ritroveranno la voglia di assumere e le banche quella di aprire la cassaforte.

Aver tolto dalle decine di contratti a tempo determinato, due particolari fattispecie, viene presentato come la storica vittoria sul precariato. Peccato che con il contratto a tutele crescenti l’imprenditore ha esattamente la stessa libertà di assumere e licenziare. Come e quando vuole. Susanna Camusso, che contro il Jobs act ha chiamato i lavoratori allo sciopero generale, ripete quel che ha sempre detto («è il via libera ai licenziamenti»), seguita da Cisl e Uil. La bastonata sinistra del Pd con Fassina fa notare che «il diritto del lavoro torna agli anni ’50». Con una differenza: allora il paese si stava avviando verso il boom economico, oggi siamo in recessione.

Il segretario del Pd ha “spianato” sindacati e sinistra interna per condividere la sua passione riformatrice tra Berlusconi e Marchionne. Con il capo della destra ha progettato la nuova Costituzione del partito unico, con il manager globale ha ridotto a servitù i lavoratori. Due partner per una felice bigamia, benedetta dalla Troika. Finalmente anche per Bruxelles una parentesi lieta, un governo che l’ascolta anziché mettersi di traverso come gli indisciplinati greci. Finalmente un governo capace di mettere in pratica la regola aurea da cui tutto il resto dipende (rendere il lavoro una merce docile e povera), con una svolta determinante che tiene l’Italia sul binario morto dell’austerità.

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