Editoriale

La clemenza «politica» di Mattarella per gli agenti Cia

Sequestro Abu Omar Non è la prima volta che accade. Il Presidente Napolitano aveva già concesso la grazia al colonnello Joseph Romano, coinvolto nel sequestro di Abu Omar. Ora il suo successore Mattarella […]

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 27 dicembre 2015

Non è la prima volta che accade. Il Presidente Napolitano aveva già concesso la grazia al colonnello Joseph Romano, coinvolto nel sequestro di Abu Omar. Ora il suo successore Mattarella firma l’atto di clemenza nei confronti di due cittadini americani coinvolti anch’essi nella vicenda dell’imam egiziano.

Nessuno di essi è mai stato detenuto in Italia, vivono nel proprio paese liberi da ogni accusa, protetti dal governo degli Stati Uniti. La concessione delle grazie, pertanto, non aprirà le porte delle carceri, che non sono state mai varcate.

Questo fa ritenere la decisione di Mattarella un fatto prevalentemente simbolico, posto in essere più che altro allo scopo di rafforzare le alleanze necessarie per sbloccare la complessa trattativa per il rientro dei militari italiani detenuti in India. Almeno così raccontano le cronache. Eppure alcune domande di un certo peso devono essere poste.

La questione più delicata riguarda la legittimazione costituzionale dell’atto adottato. Secondo la Corte costituzionale, infatti, il potere presidenziale di grazia può essere esercitato solo «per eccezionali ragioni umanitarie», non potendosi fondare su ragioni esclusivamente politiche (sentenza n. 200 del 2006). L’atto di clemenza nei confronti di due cittadini americani non ha alcuna ragione umanitaria, bensì esclusivamente politico-diplomatica. Come è possibile una così evidente discordanza tra i due custodi della costituzione (Corte costituzionale e Presidente della Repubblica)?

Certo la decisione della Consulta non è esente da colpe. Immaginare che la grazia possa essere concessa solo per risolvere casi umanitari non ha molto senso, l’atto di clemenza contenendo già in sé una sua politicità. Eppure non può ammettersi che essa sia completamente rimessa alla libera volontà del Capo dello Stato. Se si vuole estendere il potere presidenziale anche ai casi politicamente sensibili diventa necessario prevedere controlli sul suo operato e limiti al suo esercizio. La Corte ha – forse un po’ troppo sbrigativamente – ritenuto l’atto di concedere la grazia «formalmente e sostanzialmente» presidenziale, facendo così venir meno ogni controllo istituzionale, ma ciò non vuol dire che si sia trasformato in un potere senza limiti.

L’indicazione della natura «umanitaria», se non può essere intesa come esclusiva, deve almeno essere ritenuta parte essenziale della valutazione presidenziale (una condizione necessaria, anche se non necessariamente sufficiente); può venir bilanciata con le ragioni politiche, ma non può essere completamente elusa. A rigore, dunque, si dovrebbe escludere che si possa adottare un atto di clemenza privo di alcun rilievo umanitario. Come, invece, è stato nei casi che hanno coinvolto i cittadini americani.

La via prescelta dalla presidenza è stata un’altra, non essendosi operato alcun bilanciamento tra ragioni umanitarie e valutazioni politiche. In questa prospettiva credo ci si debba chiedere – a maggior ragione – quali diverse cautele debbano circondare il potere presidenziale di grazia.

Il comunicato del Quirinale mostra – o almeno così appare – una certa prudenza e consapevolezza della delicatezza costituzionale dell’atto che viene compiuto: «la decisione – si legge – tiene conto del parere favorevole formulato dal Ministro della Giustizia a conclusione della prevista istruttoria», a segnalare una consonanza di vedute con il Governo. Poi, però, nel merito, la decisione assunta risulta tutt’altro che cauta. L’atto di clemenza si sostanzia in un intervento diretto a modificare le decisioni adottate dal potere giudiziario per la salvaguardia di equilibri politici internazionali di cui si ritiene ci si debba far garanti anche a scapito delle ragioni dello stato di diritto. Il Presidente ha ritenuto, infatti, di dover «riequilibrare» il trattamento sanzionatorio inflitto ai due cittadini americani a seguito di un regolare processo svoltosi nelle sedi giudiziarie competenti che ha coinvolto altre ventiquattro persone tutte condannate per il medesimo reato. Dunque, sostituendosi ai giudici, il presidente ha effettuato una nuova valutazione dei fatti, della loro gravità, ed ha stabilito una diversa sanzione. Ma non è questo il punto più delicato (la grazia interviene sempre su sentenze passate in giudicato), quel che essenzialmente rileva è la motivazione che si pone alla base del provvedimento di clemenza: «nella valutazione delle domande di grazia – scrive il Quirinale – il Capo dello Stato ha in primo luogo considerato la circostanza che gli Stati Uniti hanno, sin dalla prima elezione del Presidente Obama, interrotto la pratica delle extraordinary renditions, giudicata dall’Italia e dalla Unione Europea non compatibile con i principi fondamentali di uno Stato di diritto».

Questo dimostra come si sia passati dalla grazie umanitaria (secondo l’indicazione della Corte costituzionale) alla grazia esclusivamente politica. Se la prima poteva rappresentare una visione riduttiva del potere che di fatto viene esercitato dal Capo dello Stato, la seconda rischia di trascinarlo in un terreno non suo. Quel che ci si chiede, in particolare, è se l’istituto della grazia individuale, che deve riguardare i singoli fatti e le posizioni personali degli individui condannati, possa trasformarsi in uno strumento al servizio della politica internazionale.

Un ultimo interrogativo. La presidenza Mattarella si è sin qui caratterizzata per sobrietà, lontana dalla ribalta e dal protagonismo che aveva qualificato le ultime presidenze. Toni bassi nel tentativo di riconciliare le parti e non esasperare gli animi. Un guardiano silente, auspicabilmente non assente. Perché allora questa così decisa presa di posizione?

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