La democrazia non è una mail
Un voto fast-food, una democrazia à la carte, una consultazione orario ufficio. Si o no, favorevole o contrario al reato di clandestinità? Non è una burla, né una performance satirica, […]
Un voto fast-food, una democrazia à la carte, una consultazione orario ufficio. Si o no, favorevole o contrario al reato di clandestinità? Non è una burla, né una performance satirica, […]
Un voto fast-food, una democrazia à la carte, una consultazione orario ufficio. Si o no, favorevole o contrario al reato di clandestinità? Non è una burla, né una performance satirica, è come, in Italia, un partito con otto milioni di voti, con un gruppo parlamentare di 150 eletti, tra senatori e deputati, sceglie di risolvere una questione così importante, di quelle che bastano e avanzano per tracciare una linea (o per scavare un fossato) tra destra e sinistra.
Oggi, giunta finalmente al voto la legge sulle «depenalizzazioni» comprensiva dell’abolizione della vergogna italiana del reato di clandestinità, ecco la mossa a sorpresa, la votazione-lampo organizzata da Grillo e Casaleggio.
La fedele coppia di carabinieri, guardia e guardia scelta del bottino elettorale conquistato alle elezioni politiche dello scorso febbraio, indice un referendum dalle 10 del mattino alle 18 del pomeriggio. Il tentativo è di evitare che l’abolizione del reato di clandestinità porti la firma grillina. Come già era limpidamente emerso in ottobre quando due senatori pentastellati ebbero l’ardire di proporre l’emendamento incriminato contro il famigerato fiore all’occhiello della legge Bossi-Fini.
Su di loro si scatenò l’ira funesta del padre-padrone e del suo presunto ideologo internettiano. Se avessimo sostenuto l’abolizione del reato di clandestinità in campagna elettorale – sostenne allora il tandem – «avremmo avuto percentuali da prefisso telefonico». Siamo contrari «nel merito e nel metodo», aggiunsero per chiarire che quell’emendamento avrebbero dovuto rimangiarselo. In cima ai pensieri di questi perfetti imprenditori della paura, c’era, e resta, il calcolo elettorale, l’inseguimento delle pulsioni peggiori del populismo contro gli immigrati, il non schierarsi né a destra, né a sinistra, per guadagnare il massimo consenso dalla crisi dei partiti.
Non che Grillo e Casaleggio debbano per forza leggere i sacri testi sulla democrazia, o ispirarsi alla definizione che Bobbio ne suggeriva («un insieme di regole, primarie o fondamentali, che stabiliscono chi è autorizzato a prendere le decisioni collettive e con quali procedure», spiegando che la decisone spetta a «un numero molto alto di soggetti»). Ma almeno rispettare la Costituzione che scioglie gli eletti dai vincoli di mandato, lasciandoli liberi di esprimersi.
E visto che alla fine quelle poche migliaia di voti (circa 24 mila) in maggioranza (poco meno di 16 mila) hanno appoggiato l’abolizione dell’odioso reato (9 mila quelli che, invece, avrebbero voluto confermarlo), forse Grillo e Casaleggio dovranno rassegnarsi a cominciare a restituire una parte dei consensi sottratti alle destre leghiste. E magari domani vedersi sfuggire anche quelli avuti in dono dal Pd di Bersani. Se l’abile e astuta strategia di Renzi riuscirà a essere più efficace della propaganda grillina sul finanziamento pubblico e la legge elettorale, nemmeno le maglie strette del controllo della rete riusciranno a trattenere il bottino elettorale conquistato cavalcando la grande paura.
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