Cultura
La geografia come scrittura terrestre non può prescindere dall’imprevisto
L'intervista Parla Matteo Meschiari, autore di «Neogeografia. Per un nuovo immaginario terrestre» (Milieu). «Nonostante le tecnologie e le pratiche sociali che abbiamo inventato, abbiamo ancora paura delle stesse cose: l’ignoto, il futuro, il mondo che si nasconde dietro l’angolo»
Reena Saini Kallat, «(Untitled) Map Drawing»
L'intervista Parla Matteo Meschiari, autore di «Neogeografia. Per un nuovo immaginario terrestre» (Milieu). «Nonostante le tecnologie e le pratiche sociali che abbiamo inventato, abbiamo ancora paura delle stesse cose: l’ignoto, il futuro, il mondo che si nasconde dietro l’angolo»
Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 14 dicembre 2019
Qualsiasi cosa se ne dica «la geografia si occupa essenzialmente di immaginario, e ciò che davvero conta in una mappa è proprio ciò che manca», scrive Matteo Meschiari nel suo ultimo saggio, Neogeografia. Per un nuovo immaginario terrestre (Milieu, pp. 159, euro 16,50). Ma che ne è dei saperi geografici davanti a macchine e algoritmi capaci di elaborare stradari, percorsi, cartografie? Meschiari, antropologo, geografo e scrittore, docente di geografia all’Università di Palermo, ne parla come della fine di un’avventura, un «esaurimento dello spazio, del tempo, della conoscenza». QUINDI la geografia è morta? Che ce ne facciamo di un nuovo immaginario...