La grande finzione del maggioritario
Legge elettorale Nulla è più fragile e vulnerabile dei dispositivi democratici. Prova provata della fragilità dei suddetti dispositivi è il mai abbastanza esecrato Porcellum, ovvero la legge n. 270 del 21.12.2005, che […]
Legge elettorale Nulla è più fragile e vulnerabile dei dispositivi democratici. Prova provata della fragilità dei suddetti dispositivi è il mai abbastanza esecrato Porcellum, ovvero la legge n. 270 del 21.12.2005, che […]
Nulla è più fragile e vulnerabile dei dispositivi democratici. Prova provata della fragilità dei suddetti dispositivi è il mai abbastanza esecrato Porcellum, ovvero la legge n. 270 del 21.12.2005, che ha introdotto il regime elettorale con cui è eletto al momento il parlamento nazionale. Nulla meglio di una legge cosiffatta prova come si possano assumere decisioni democraticamente – e costituzionalmente – indecenti anche nel pieno rispetto delle forme democratiche e senza che si riesca a attivare i meccanismi di salvaguardia che la Costituzione prevede.
La ragione per cui il Porcellum è indecente non risiede tanto nell’impossibilità per i cittadini di scegliere i propri rappresentanti. È, codesto, un argomento ipocrita, avanzato da chi vuol persuadere la pubblica opinione a costi molto bassi. Pure in un banale regime uninominale, quale per i tre quarti era la legge elettorale precedente, il cosiddetto Mattarellum, l’elettore non disponeva di possibilità di scelta. Doveva sopportare i candidati somministratigli da partiti. La vera ragione dell’indecenza del Porcellum sta nel cosiddetto premio di maggioranza.
Com’è noto, la legge Calderoli prevede che il partito, o la coalizione, prima arrivata alle elezioni, non importa con quale seguito, ottenga il 55 per cento dei seggi alla camera (al senato il premio è attribuito su base regionale). Ebbene, una previsione cosiffatta supera in indecenza la famosa legge Acerbo (del 18.11.1923), voluta dal fascismo per fornirsi di una parvenza di legittimazione elettorale. Se non altro tale legge individuava nel 25 per cento dei voti validi la soglia per conseguire il premio di maggioranza.
Soprattutto però il premio di maggioranza, piccolo o grande che sia, viola il principio di uguaglianza tra i cittadini. Giacché attribuisce un sovrappiù di valore alla scelta degli elettori che si sono pronunciati a favore di chi ha conseguito il premio.
Risultati invero scandalosi avrebbe conseguito la legge Calderoli alle elezioni dello scorso febbraio, laddove non fosse inciampata nella complicatissima attribuzione del premio al senato. Con nemmeno il 30 per cento dei voti Pd e Sel hanno conseguito alla camera una larga maggioranza. Se ricordiamo che un elettore su quattro si è astenuto, con quale legittimità i destini del paese sarebbero stati affidati alle cure di una coalizione rappresentativa di neanche un elettore su 4? Non solo: ma una simile maggioranza avrebbe potuto anche riscrivere la costituzione e c’è da domandarsi se una difesa democraticamente sufficiente stia nel referendum popolare previsto per sanzionare, eventualmente, le revisioni.
Da un punto di vista – minimalisticamente – democratico, il premio di maggioranza è sempre un oltraggio. Né vale a giustificarlo un altro furbesco argomento esibito nel dibattito pubblico: la sera delle elezioni occorre assolutamente sapere chi ha vinto e chi ha perso. Dopo le ultime elezioni inglesi passarono settimane perché si concludesse la trattativa tra conservatori e liberali, mentre è trascorso un mese e mezzo dalle elezioni in Germania senza che un nuovo esecutivo abbia visto la luce. Suvvia, siamo seri.
L’altro argomento che si accampa è la coerenza politica della maggioranza, con la stabilità che ne conseguirebbe: diamo un premio onde scongiurare alleanze composte e precarie. L’argomento è però pretestuoso: nel 2008 la coalizione guidata da Berlusconi vinse le elezioni col 46 per cento dei voti e ottenne il 55 per cento dei seggi alla camera, insieme a un’abbondante maggiorana al senato. Non solo dobbiamo solo alla sgangherata goffaggine di tale maggioranza l’esser riusciti a evitare danni ancor più gravi di quelli che quelli che il governo Berlusconi già ci ha fatto sopportare. Ma le vicende di quattro anni di governo provano come solidità e coerenza dell’azione di governo non si costituiscano per legge.
Cosa deciderà la Corte costituzionale chiamata a pronunciarsi sulla legge Calderoli non sappiamo. Nella sua storia la Corte dato prova di grande indipendenza e libertà di giudizio. Ma in fatto di leggi elettorali qualche cedimento c’è stato. Speriamo che stavolta la Corte senza possibilità di equivoci metta al bando premi che non esistono in nessuna democrazia decente.
In fatto di leggi elettorali, la scelta è ampia: c’è il modello francese, quello tedesco, quello spagnolo, perfino quello inglese. Tutti adeguati e tutti esclusivi di premi, ma atti ciò malgrado a favorire l’aggregazione degli schieramenti senza troppe distorsioni. Che invece sarebbero terribili qualora si giungesse a una terza applicazione del Porcellum, allorché saranno in lizza tre schieramenti che valgono, ciascuno, più o meno un terzo dei votanti. Qualcuno riesce a immaginare quale orgia sfrenata di demagogia populista si scatenerebbe in campagna elettorale?
Ma proviamo pure a considerare le cose dal punto di vista specifico di un elettore di centrosinistra. Cos’è preferibile: una vittoria sancita dal premio di maggioranza da parte di un centrosinistra guidato da un personaggio come Renzi, imposto dai media e dai poteri che contano, oppure, ove necessario, un trasparente negoziato tra centrosinistra e centrodestra, magari non viziato dai problemi giudiziari di Berlusconi?
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