Editoriale

La «nuova gestione» del Teatro di Roma, con qualche dubbio

Presentati ieri mattina il neo presidente Marino Sinibaldi e il direttore Ninni Cutaia. Le parole più vaghe arrivano dalla politica Ieri mattina all’Argentina è andato in scena il primo «spettacolo» della nuova stagione (o se si preferisce «nuova gestione») del Teatro di Roma, mentre muto in platea il ministro Bray […]

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 25 gennaio 2014

Ieri mattina all’Argentina è andato in scena il primo «spettacolo» della nuova stagione (o se si preferisce «nuova gestione») del Teatro di Roma, mentre muto in platea il ministro Bray si è dato il cambio col direttore del ministero Nastasi. Le due assessore alla cultura di comune e regione, Flavia Barca e Lidia Ravera hanno presentato il neopresidente Marino Sinibaldi (direttore di Radio3 Rai) e il nuovo direttore Ninni Cutaia. Questi, attualmente dirigente della prosa al ministero ma in un passato recente fondatore dello Stabile napoletano al Mercadante, e poi all’Eti prima che come indimenticabile regalo Tremonti e Bondi lo sciogliessero, si è mostrato subito il più ferrato e affidabile rispetto al teatro, grazie a un’esperienza che universalmente gli è riconosciuta.

Minor smalto, all’interno dello specifico ruolo cui sono stati chiamati, mostrano per ora i membri del cda appena nominato, a parte un’eccezione. Come è stato fatto notare anche dalla platea, tranne una presenza, manca del tutto una qualche componente artistica, per un lavoro che implica da una parte grande autorevolezza all’esterno (ad esempio per procurarsi fondi) e nello stesso tempo specifiche cognizioni dei meccanismi teatrali. Del resto le parole più vaghe sono arrivate proprio dalla politica. Ravera ha promesso il ripristino dei fondi precedenti all’amministrazione Polverini (e soprattutto la riapertura del bar interno che pare starle molto a cuore); Barca ha difeso le sue scelte per il cda (che in realtà sono le più criticate, per l’assoluto anonimato delle due consigliere prescelte), e ha auspicato l’allargamento delle attività del teatro fuori di sé.

Tesi questa sostenuta anche da Sinibaldi, che potrebbe rischiare però di farne una sorta di indeterminato bazar multitasking, perdendo la specificità prima per cui il Teatro di Roma viene finanziato con danaro pubblico. O forse è l’equivoco, già sviluppatosi in passato, che porta da parte dei politici alla presidenza dello stabile romano un alto dirigente Rai, come se il teatro fosse una «provincia» della tv. Ma sono discorsi prematuri, si può confidare nella consapevolezza della nuova direzione e nella conoscenza molto ampia di tutte le realtà teatrali, feconde e interessanti, che finora non hanno avuto una ribalta pubblica con cui misurarsi. È stata espressa una certa fiducia nella riacquisizione in autunno dell’India (con la contigua sede dell’Accademia Silvio D’Amico sarebbe un fantastico polo di creatività teatrale), mentre un grande buio (o ritegno, chissà) è emerso sul Valle occupato, ma che ufficialmente resta «affidato» allo stabile. Ma ci sarà tempo per capire e vedere, appena la presentazione di ieri si farà progetto.

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