Editoriale

La nuova insorgenza operaia

La nuova insorgenza operaiaSciopero dei lavoratori della Gnk a Firenze – Alessandro Biagianti

Altro che «sblocco» La chiusura di un’azienda che produce componentistica per l’80 per la Fca e il resto per prestigiose marche tedesche, nonché per Ferrari e Maserati, mette a nudo l’assenza di una qualunque politica industriale nel Pnrr, che ci rende indifesi di fronte alle scelte delle multinazionali. Ma ieri è successo qualcosa di nuovo.

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 25 luglio 2021

Un’unica parola secca e determinata, compare in campo rosso: insorgiamo. Senza la retorica dei punti esclamativi. Infatti non è un auspicio, è una comunicazione di un dato di fatto. Come a dire: sta a voi decidere ora cosa fare.

Gli operai della Gkn, licenziati via mail – a sua volta la modernizzazione del vecchio ad nutum – in 422 della fabbrica madre e in 80 delle ditte in appalto, dettaglio non secondario, hanno deciso di insorgere contro la decisione della proprietà, il fondo britannico Melrose, che rincorre i fasti della globalizzazione in crisi: chiudere qui per aprire altrove. Non si sa dove. Si conosce invece l’intenzione di fare gravare interamente sul costo del lavoro, azzerando gli occupati e cancellando uno stabilimento, le conseguenze della contrazione mondiale in atto nel settore automobilistico.

La chiusura a Campi Bisenzio viene presentata come “indifferibile” e l’utilizzo degli ammortizzatori sociali impossibile. Chi voleva le prove che l’avviso comune tra Governo e Sindacati, con l’intervento determinante di Confindustria, non avrebbe tappato il vaso di pandora dei licenziamenti, ne ha avute fin troppe. Il paragone con il caso Bekaert, l’azienda belga che produceva rivestimenti in acciaio per pneumatici e che tre anni fa ha trasferito la produzione da Figline Valdarno nell’Europa dell’Est, è d’obbligo. E si teme che così possa finire anche per la Vitesco, azienda tedesca di iniettori per motori termici, 950 lavoratori in quel di Pisa, 750 dei quali già considerati come esuberi.

Intanto la riforma degli ammortizzatori sociali attesa per il 31 luglio, cui pareva appeso l’avviso comune e che è prevista dallo stesso Pnrr, seppure non vincolata a termini perentori, sembra scivolare all’autunno, quando si discuterà la legge di bilancio, visto che allo stato attuale mancano le risorse nonché le modalità per utilizzare gli ammortizzatori nelle imprese con meno di cinque addetti, uno dei tratti più innovativi dell’intervento legislativo.

La chiusura di un’azienda che produce componentistica per l’80 per la Fca e il resto per prestigiose marche tedesche, nonché per Ferrari e Maserati, mette a nudo l’assenza di una qualunque politica industriale nel Pnrr, che ci rende indifesi di fronte alle scelte delle multinazionali.
Ma ieri è successo qualcosa di nuovo. Migliaia di persone di sono mosse dallo stabilimento di Campi Bisenzio per toccare le altre realtà produttive.

Ha ragione la segretaria generale della Fiom: «Non è uno sciopero, ma una manifestazione che dà il senso che questa sta diventando una vertenza simbolo». L’hanno compreso in molti. Altrimenti non avremmo assistito al dispiegarsi in modo tangibile di una viva e orgogliosa solidarietà. Al grande corteo erano presenti lavoratori della Whirlpool di Napoli, di aziende di Milano e di Bologna, esponenti di primo piano delle istituzioni comunali e regionali. Dopo diverso tempo si è riacceso attorno ad una lotta operaia il senso della partecipazione di tanti giovani e di intellettuali. Valga per tutti l’opera grafica che Zerocalcare ha voluto dedicare a questo conflitto.

Si percepisce che quando sei di fronte a un muro, fatto dalla decisione autodefinentesi irremovibile della multinazionale, alla non volontà del governo di continuare il blocco dei licenziamenti, all’assenza della politica dal conflitto sociale, solo l’allargamento a livello sociale e popolare del sostegno e della solidarietà, può permettere di incrinare se non abbattere del tutto quel muro.
Il successo della manifestazione di ieri non è un caso isolato.

Questa volta la miccia è stata accesa forse dai meno attesi, i lavoratori della logistica, invisibili quanto determinanti nel processo di circolazione delle merci.Con le loro lotte necessariamente aspre, che sono costate dolore, sangue e morte hanno riaperto il conflitto sociale nei luoghi più strategici del moderno sistema capitalistico.

Ora abbiamo non solo la difesa primaria del posto di lavoro dai licenziamenti avvenuti e minacciati, ma la volontà di ritessere una tela strappata. Un fatto nuovo, che ha il profumo dell’antico, quando quelli che erano considerati gli ultimi sapevano legare attorno a sé le forze più vive della società. E creare un popolo.

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