La Palestina vincente di Stefano Cusin
Intervista L’allenatore dell’Ahly al Khalil racconta i suoi giorni di gloria in una terra difficile. Scudetto, coppa e supercoppa al primo colpo con la squadra di Hebron: «Anche in piccole realtà se fai un lavoro serio alla fine ottieni dei risultati»
Intervista L’allenatore dell’Ahly al Khalil racconta i suoi giorni di gloria in una terra difficile. Scudetto, coppa e supercoppa al primo colpo con la squadra di Hebron: «Anche in piccole realtà se fai un lavoro serio alla fine ottieni dei risultati»
Sono giorni di gloria per il mister italiano Stefano Cusin. Già allenatore vincente in Africa e in vari Paesi del Medio Oriente, Cusin ha aggiunto alla lista dei suoi successi anche la Supercoppa palestinese. Alla guida dell’Ahly al Khalil, team della città cisgiordana di Hebron, battendo 2 a 1 lo Shujayea di Gaza, ha conquistato il trofeo più prestigioso del calcio palestinese. Un traguardo che è coinciso con la prima finale disputata in 15 anni da un team della Cisgiordania e uno di Gaza.
Le autorità di occupazione israeliane dopo il 2000 non avevano più consentito lo svolgimento del match palestinese. Lo abbiamo intervistato in una pausa degli allenamenti.
Non è la Serie A però ti abbiamo visto entusiasta per la vittoria del campionato di calcio palestinese al primo colpo.
Mi era già capitato in Libia nel 2008-9 quando ho vinto subito il campionato, la coppa nazionale e la Supercoppa. Però era un altro contesto, quello era un team forte da sempre e attrezzato per vincere. Ne fui felice ma furono sensazioni diverse. Invece in questo caso (qui in Palestina, ndr) prendere una squadra in corsa, che non aveva mai conquistato nulla nei suoi 42 anni di storia e riuscendo a vincere proprio all’inizio la coppa di lega e poi in successione la coppa nazionale a maggio e la supercoppa adesso, ha generato in me un crescendo di emozioni. Questa è una terra difficile, contorta, con contrapposizioni di ogni genere e ho avuto la netta sensazione che queste vittorie abbiamo contributo a rinsaldare l’unità tra i giocatori e tra la gente di Hebron. Tutti erano dietro la squadra. Perciò questa vittoria ha un sapore molto forte, incredibile.
Qual è stato il segreto di questo successo?
Qualcuno dice che un successo nasce dall’incontro di una idea con una opportunità. Noi allenatori italiani siamo in possesso di una solida cultura calcistica, molto avanzata, e il fatto di aver potuto impiegare metodologie di lavoro all’avanguardia grazie a un preparatore atletico italiano e di aver integrato lo staff con altri professionisti, ha permesso di dare alta qualità agli allenamenti. Più di tutto abbiamo avuto giocatori palestinesi che si sono messi completamente a nostra disposizione e una società che aveva fame di vittorie.
Prima hai accennato alla complessità di questa terra. Che sensazione ti ha fatto essere ricevuto dai leader di due entità politiche contrapposte in Cisgiordania e a Gaza.
Mi sono sentito un privilegiato. Prima sono stato invitato a cena dal capo (Ismail Haniyeh di Hamas, ndr) di un partito importante a Gaza e subito dopo dal presidente dell’Anp Abu Mazen. Questi due leader, che hanno idee contrapposte, durante gli incontri non hanno parlato mai di politica. Abbiamo discusso solo di calcio, di sport, del futuro dei giovani, di sviluppo. Mi hanno fatto delle domande riguardanti la tattica e la tecnica del calcio, è stato bellissimo. Questo conferma ciò in cui credo, ossia che lo sport riesce ad andare oltre tante cose, la politica, la religione, il colore della pelle.
Perché un allenatore bravo come te, che potrebbe ottenere contratti importanti con club prestigiosi, sceglie Hebron con un ingaggio modesto.
È la passione per il calcio e lo sport. La passione va oltre l’aspetto economico. Ho letto con piacere qualche giorno fa la dichiarazione dell’allenatore del Napoli Sarri che diceva «sono retribuito per svolgere un lavoro che farei gratis». Ecco, la passione è fondamentale. Io trovo gli stimoli giusti nella sfida, nel superare le difficoltà. Il mese scorso ho provato un orgoglio immenso quando abbiamo disputato delle partite amichevoli in Italia giocandocela alla pari e perdendo di misura con team come Bologna e Atalanta. Certo gli avversari erano all’inizio della preparazione ma in quei giorni i miei giocatori di Hebron osservavano il Ramadan, quindi digiunavano (dall’alba al tramonto, ndr). Abbiamo dimostrato che anche in piccole realtà della Palestina se fai un lavoro serio e importante alla fine ottiene dei risultati.
Dopo questo successo qualcuno sussurra che Stefano Cusin diventerà allenatore della nazionale della Palestina.
(Pausa) … Ho incontrato più volte il presidente della Federazione calcio palestinese (Jibril Rajoub, ndr), so che mi stima e che ha molta considerazione per i miei collaboratori. Non escludo niente. La mia vita è fatta di sfide. Perché no? Portare la Palestina a giocare da protagonista la Coppa d’Asia o arrivare addirittura al Mondiale non è impossibile. Con un lavoro fatto seriamente nel calcio tutto è possibile.
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