Editoriale

La palude renziana

La palude renzianaMatteo Renzi – Lapresse/Reuters

Alla scena rumorosa dei tumulti sui banchi di Montecitorio da oggi se ne sostituirà una silenziosa ma non per questo meno indecorosa. Quella di un’aula parlamentare mezza vuota, abbandonata dal […]

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 14 febbraio 2015

Alla scena rumorosa dei tumulti sui banchi di Montecitorio da oggi se ne sostituirà una silenziosa ma non per questo meno indecorosa. Quella di un’aula parlamentare mezza vuota, abbandonata dal variegato cartello delle opposizioni. Dalla Lega a Fi, da Sel ai 5Stelle, tutti insieme per la scelta estrema di non essere né complici, né spettatori di una riforma che sfigura la Costituzione e incorona il piccolo Cesare.

Buttare giù la Carta della democrazia parlamentare non è un pranzo di gala e che gli animi si accendano è il minimo. Succede dai tempi di Cavour e Garibaldi, anche se questa volta le botte non sono volate tra destra e sinistra ma tra i deputati del Pd e di Sel. Tuttavia non si tratta più di una questione di buone maniere, difficili da mantenere tanto più se l’assemblea si vede imporre tempi e modi della “controriforma” da un presidente del consiglio che si aggira di notte come un ladro per i corridoi di Montecitorio a raccattare voti minacciando le elezioni anticipate.

La scelta dell’Aventino è così solo l’ultimo atto di una brutta storia di prevaricazione, costante e continua, di ogni regola e procedura. Tra i tanti esempi dello stil novo renziano basterebbe ricordare l’episodio della sostituzione dei senatori del Pd che in commissione non votavano come Renzi e Boschi comandavano.

La decisione di lasciare che il governo Renzi-Alfano approvi in solitudine la nuova Costituzione purtroppo fa parte di uno scenario tutt’altro che inedito. Il triste spettacolo fu messo in scena quando Berlusconi varò la sua riforma, oltretutto anche molto simile a quella in discussione oggi, e per fortuna poi bocciata dal referendum (come speriamo si ripeta questa volta).

Oggi Renzi ne segue le orme intestandosene una persino peggiore (per esempio sulla composizione del nuovo senato: allora diminuiva il numero dei senatori ma l’elezione era di primo grado). E in ogni caso ispirata da un’idea della politica (e del governo) che risponde alla stessa logica, alle medesime priorità.

Se non si stesse giocando una partita così importante per gli assetti democratici saremmo di fronte a una pessima farsa, con i parlamentari berlusconiani che scendono dal carro del vincitore e salgono sulle barricate dell’opposizione promettendo di far vedere a Renzi «i sorci verdi». La minaccia, che arriva dal pittoresco capogruppo Brunetta, più che spaventare gli avversari del Pd sembra piuttosto voler attutire le divisioni della propria truppa.

Del resto anche la battaglia delle opposizioni di sinistra e dei 5Stelle, aldilà dell’impatto simbolico, rivela una evidente debolezza. Chi per baldanza, chi per un malinteso senso di responsabilità verso la “ditta” non è riuscito a fermare il treno ora decide di togliersi dai binari.

Restano le macerie di un quadro politico frantumato che, oltretutto, dietro l’arroganza renziana non può nemmeno esibire la forza del decisionismo craxiano ma solo offrire la palude di un potere balcanizzato.

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