La peculiarità asiatica
Strage a Dhaka Mentre in altre zone del mondo questo tipo di radicalismo ha successo a causa della disintegrazione delle unità statali, delle identità culturali e per le devastanti guerre occidentali, nel Bangladesh la violenza sociale, lo sfruttamento manifatturiero delle multinazionali, e le continue e reiterate lotte politiche interne hanno creato un terreno di disperazione, tale da consentire perfino a formazioni criminali di fare proseliti con sempre maggior successo
Strage a Dhaka Mentre in altre zone del mondo questo tipo di radicalismo ha successo a causa della disintegrazione delle unità statali, delle identità culturali e per le devastanti guerre occidentali, nel Bangladesh la violenza sociale, lo sfruttamento manifatturiero delle multinazionali, e le continue e reiterate lotte politiche interne hanno creato un terreno di disperazione, tale da consentire perfino a formazioni criminali di fare proseliti con sempre maggior successo
L’8 giugno scorso sul manifesto abbiamo pubblicato 8 pagine di uno speciale che aveva come tema proprio «l’Isis in Asia». Grazie alle nostre «antenne» in quelle aree del mondo sapevamo che alcuni paesi erano fortemente a rischio, mentre altri sembravano immuni per caratteristiche culturali e storiche. Altri ancora, come capitato nuovamente al Giappone (almeno sette i morti giapponesi nella strage di Dhaka), hanno «scoperto» il terrorismo islamista a causa delle vittime in attacchi fuori dal proprio paese.
Il Bangladesh è certo uno di quei paesi nel quale – nonostante le autorità lo abbiano sempre negato – il jihadismo sembra aver attecchito da tempo. Purtroppo quanto accaduto all’Holey Artisan Bakery a Dhaka non è una vera sorpresa. Le autorità locali hanno sempre minimizzato, eppure solo due settimane fa hanno proceduto all’arresto di 11mila persone sospettate di essere vicine a gruppi terroristici. Va però specificato un punto di partenza rilevante. Mentre in altre zone del mondo questo tipo di «radicalismo» ha successo per la disintegrazione delle unità statali e delle identità culturali a causa delle devastanti guerre occidentali, nel Bangladesh non è direttamente la guerra ma la violenza sociale, lo sfruttamento manifatturiero delle multinazionali, e le reiterate lotte politiche interne a creare un terreno di disperazione, tale da consentire perfino a formazioni criminali ammantate di islamismo di fare proseliti con sempre maggior successo.
E il governo del paese, anziché favorire le attività dei sindacati e delle organizzazioni che lottano per i diritti civili, o di quei singoli o gruppi che si muoverebbero in quella direzione, nega il rischio e anzi colpisce con pugno duro le proteste che nascono da povertà e devastazione sociale, utilizzando i recenti attentati individuali per attaccare le opposizioni. In questo contesto sorgono diversi gruppi che si rifanno più o meno a Daesh o al Qaeda che nel Bangladesh si giocano una fetta importante del «mercato jihadista». Si tratta ad esempio di Jamaat ul Mujahidden Bangladesh o Ansarullah Bangla Team (considerato più vicino ai qaedisti). In Bangladesh il radicalismo vive dunque una situazione particolare, differente da altri contesti, perché nasce in ambito diverso.
Per questo è complicato leggere quanto accade: il terrorismo in Asia è differente da quello di altre zone del mondo e appiattire tutto in un unico blocco di analisi, senza distinguere origini e cause, non aiuta l’esatta comprensione del fenomeno. Un’ultima considerazione: definire, come ha fatto ieri Obama, «inevitabili conseguenze» le centinaia di morti «collaterali» dei raid effettuati con i suoi droni, aiuta davvero poco la condanna e il contrasto di questi efferati crimini.
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