La responsabilità civile dei politici
Giustizia Non si può applicare al giudice il modello utilizzato per il privato cittadino, o anche in generale per il funzionario pubblico.
Giustizia Non si può applicare al giudice il modello utilizzato per il privato cittadino, o anche in generale per il funzionario pubblico.
Il tribunale dei minori di Roma ha concesso a una coppia di donne l’adozione del figlio di una delle due, nato con fecondazione eterologa praticata all’estero. Una pronuncia storica per alcuni, eversiva per altri. In ogni caso, un precedente di rilievo, in specie dopo la sentenza corte cost. 162/2014 sull’eterologa. È un’occasione per riflettere sulla riforma della giustizia. In Italia, da lungo tempo diritti e libertà non fanno passi avanti nella legislazione. L’avanzamento viene dai giudici.
È un giudice che autorizza il distacco della spina per Eluana Englaro; che riconosce la coppia omosessuale come ambiente non presuntivamente inidoneo per il minore; che ordina la trascrizione del matrimonio tra omosessuali contratto all’estero; che definisce come fondamentale il diritto di due omosessuali di formare una coppia. E ancora molti giudici concorrono a smantellare i profili più oscurantisti della legge sulla fecondazione assistita. Il tribunale dei minori di Roma è solo l’ultimo in ordine di tempo.
Il legislatore, invece, prono ai potenti di turno (falso in bilancio, corruzione, prescrizione, lodi), è stato inerte o apertamente ostile verso i diritti. Si è visto con Welby ed Englaro, il testamento biologico, la fecondazione assistita, le unioni civili. Anche oggi, quel che accade in parlamento ci ricorda Troisi e il miracolo-miracolo. Perché due del medesimo sesso hanno diritto a essere coppia, ma non a un matrimonio in senso stretto. Quasi, simile, praticamente uguale, ma matrimonio-matrimonio no. È la parola che ancor ci offende.
Siamo abituati a vedere il giudice in campo – pur con esito vario – contro i potenti di turno. Non tutti e non sempre percepiamo il giudice come innovatore.
Ma qui incrociamo la riforma. Viene incluso tra i casi di responsabilità l’«errore manifesto» sulla regola giuridica. Un caso non previsto dalla c.d. legge Vassalli (117/1988). Da tempo è una bandiera della destra, che ha più volte cercato di introdurlo. Ne vediamo la causa prossima nei tanti processi eccellenti. Lo troviamo oggi tra gli obiettivi fondamentali Ncd in tema di giustizia. E anche nelle linee-guida del ministro Orlando, per essere poi tradotto nella riforma, a quanto si dice nei termini di una responsabilità dello Stato, senza filtro sull’ammissibilità e con rivalsa automatica sul giudice.
Sgombriamo subito il campo dai falsi: che ce lo chieda l’Europa, o si voglia uniformare l’Italia agli altri stati europei. Sul primo punto, la corte di giustizia Ue (in specie, 30.09.2003, C-224/01; 24.11.2011, C. 379-10) ha affermato dover essere prevista la responsabilità del (solo) Stato anche per la violazione manifesta del (solo) diritto Ue che risulti da una interpretazione di norme. La corte non si occupa di responsabilità dei giudici nell’ordinamento italiano, e tanto meno di risarcimenti, rivalse o automatismi. Quanto al secondo punto, la responsabilità dei giudici è variamente disciplinata, non mancando nemmeno casi in cui non si prevede alcuna forma di responsabilità o di rivalsa.
Quando c’è l’errore, ancor più manifesto? Nell’interpretazione e applicazione della regola giuridica c’è una insopprimibile fluidità. Tra i vari gradi di giudizio tutto può cambiare, con letture diverse della stessa norma, o con l’applicazione di altra norma. Accade fisiologicamente in qualunque sistema giuridico. Darebbe questo luogo a un danno risarcibile? Certo no, in principio. Ma la richiesta di risarcimento potrebbe diventare di routine, con aumento esponenziale delle richieste di risarcimento e ulteriore ingolfamento di una macchina già al collasso. Cosa farà chi vince in appello sul punto di diritto? E se la suprema corte cassa affermando un diverso o contrapposto principio? E se un altro giudice non si attiene alla sentenza interpretativa di rigetto della corte costituzionale, che per unanime lettura vincola all’interpretazione data solo il giudice che ha sollevato la questione?
Più i temi sono controversi e difficili, più le pronunce sono innovative, più si rischia una palude di richieste di risarcimento e rivalse. Chi sbaglia paga – dice Renzi – e vale per tutti. Ma non allo stesso modo. Anche per la corte costituzionale particolari cautele si richiedono per la responsabilità del giudice, a tutela dell’autonomia e indipendenza (sent. 2/1968, 18/1989). Non si può applicare al giudice il modello utilizzato per il privato cittadino, o anche in generale per il funzionario pubblico.
È grande il pericolo di un troppo prudente – e magari ossequiente – conformismo giudiziario. Perché un giudice, che non sia un eroe, dovrebbe scegliere una strada rischiosa per il portafogli e la carriera, potendo fare diversamente? Meglio allinearsi. Questo è il sottile veleno che da tempo si cerca di iniettare nella funzione giudiziale, per evitare scossoni a una politica torpida, autoreferenziale, di casta. Poco importa che ciò sia per la mutazione genetica di quella che un tempo fu la sinistra, o per il prezzo di larghe intese presuntivamente necessarie a salvare il paese.
Quanto ai diritti, è davvero fastidiosa la pretesa di esercitarli tutti a casa propria. Forse è meglio andare in Svizzera per morire con dignità, negli Stati Uniti per una madre-ospite, in Francia per un matrimonio gay, e in Spagna per una fecondazione eterologa. Siamo o no un popolo di navigatori? Magari bacchettoni.
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