Editoriale

La scommessa di un voto libero

Le prossime elezioni europee sono un appuntamento politico di prima grandezza, e a ricordarcelo ci pensa Olli Rehn. Il commissario messo a guardia della gabbia rigorista, diabolicamente persevera nel chiedere […]

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 6 marzo 2014

Le prossime elezioni europee sono un appuntamento politico di prima grandezza, e a ricordarcelo ci pensa Olli Rehn. Il commissario messo a guardia della gabbia rigorista, diabolicamente persevera nel chiedere di continuare la disastrosa politica del rigore. Come se il nostro colossale debito pubblico non si fosse gonfiato proprio in conseguenza delle politiche di Berlusconi prima e di Monti dopo, ossessivamente rispettose delle direttive di Bruxelles. E’ evidente che proseguendo su questa strada non abbiamo scampo.

L’appuntamento elettorale di maggio impone un impegnativo terreno di confronto a sinistra e una dura battaglia contro le forze di destra. In un senso o nell’altro, le prossime elezioni potrebbero provocare un vero terremoto politico. E proprio per questo dovremmo rinnovare e allargare i mondi, le culture, i punti di vista che vogliamo mettere in campo. I 73 nomi della Lista Tsipras presentata ieri fanno ben sperare. Ci dispiace per l’assenza di Montalbano, ci piace la parità di genere, negata, invece, dall’indigesta, indecorosa legge elettorale nazionale in discussione alla Camera.

La Lista Tsipras disegna il campo della sinistra radicale che in questi anni di crisi ha combattuto contro la feroce guerra dell’austerità. Donne e uomini impegnati dentro, ma soprattutto fuori dalle nostre compromesse istituzioni. Tuttavia l’obiettivo non è sommare, e quel che c’è è solo il punto di partenza. La posta in gioco è più alta e ambiziosa: non tanto superare l’ostacolo dello sbarramento del 4 per cento (sommatoria di un piccolo arcobaleno), ma superarlo raddoppiando, triplicando il quorum con i voti di chi, non vincolato da logiche nazionali, sente di esprimere un voto libero.

I cittadini devono ascoltare la nostra voce, capire le nostre parole, condividere le nostre proposte, sentirle vicine nella concretezza almeno quanto le avvertono suggestive nella visione. Senza troppi steccati, senza fare l’esame del sangue al compagno di banco, senza riflettere equilibri, peraltro saltati da un pezzo, relativi a esauste identità nazionali. Dovrebbe scattare un meccanismo inclusivo come quello che tre anni fa portò 27 milioni di italiani a votare per l’acqua pubblica, contro il nucleare, contro una giustizia forte con i deboli e debolissima con i prepotenti, e in fin dei conti, contro il proprio partito di riferimento.

La sinistra europeista e radicale che noi ci sforziamo di rappresentare e far vivere sulle pagine del manifesto (sono numerosi i candidati che collaborano con le nostre pagine) ha davanti a sé un’impresa molto complicata, ma anche fantastica. Dimostrare che è possibile europeizzare la sinistra e democratizzare l’Unione europea. Perché è molto facile dire “no” a questa Europa e all’euro che la governa in nome e per conto della Germania, come fanno le forze di destra, variamente vestite. E’ molto più difficile dire “no” per cambiarla, per farla vivere del grande sogno dei padri fondatori. E’ anche per questo che ci dispiacerebbe molto se il nome di Spinelli (Barbara) e di altri importanti, stimati, conosciuti candidati fossero solo una bandiera per richiamare l’elettore, e non anche la prima linea a Strasburgo.

Noi sappiamo che l’Europa si salva dal declino, da svolte autoritarie, da rinascenti nazionalismi, dal forte vento xenofobo che l’attraversa rafforzando la democrazia delle sue istituzioni. E i volti, le persone che questa Europa futura, questa rivoluzione possibile, vogliono incarnare, la devono anche rappresentare.

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