Appelli

La “terzietà” di Fassino sulla questione palestinese

La “terzietà” di Fassino sulla questione palestineseMoschea di al-Aqsa, Gerusalemme – Ap

L'appello degli accademici Sulle posizioni di Piero Fassino, Presidente della Commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati, riguardo alle violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale perpetuate dallo stato di Israele

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 23 luglio 2022

Il 17 luglio, ha risposto su queste pagine all’articolo del 13 luglio di Francesca Albanese, in cui la Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nel territorio palestinese occupato denunciava gli attacchi ricevuti da Fassino durante l’audizione del 6 luglio alla Camera. In quella occasione Fassino aveva accusato Albanese di scarsa “terzietà” a causa delle sue denunce contro le violazioni del diritto internazionale commesse da Israele. In aggiunta, Fassino aveva sostenuto che Albanese si fosse pronunciata a favore dell’uso della violenza da parte dei palestinesi, manipolando gravemente alcune frasi (dall’opposto significato) rilasciate dalla Relatrice ad Altreconomia, che a sua volta ha prontamente rilasciato un comunicato dimostrando la falsificazione delle frasi operata da Fassino.

Nella sua risposta su il manifesto Fassino ha sostanzialmente ribadito quanto detto alla Camera e svelato la posizione ideologica di fondo da cui muovono le sue accuse ad Albanese. Fassino sostiene che Israele è l’unico paese democratico del Medio Oriente con “un variegato melting pot” e una vivace dialettica politica interna in cui i palestinesi sono addirittura rappresentati in Parlamento. Per Fassino le colonie e i crimini di guerra, al momento sotto indagine della Corte penale internazionale, sono solo un incidente di percorso in un tripudio democratico. Basta analizzare queste affermazioni sotto la lente dei recenti rapporti pubblicati dalle principali organizzazioni per i diritti umani palestinesi, israeliane e internazionali per capire come quella di Fassino sia una singolare terzietà.

Lo scorso anno B’Tselem, la più importante organizzazione per i diritti umani israeliana, ha pubblicato “This is apartheid”, un report in cui si dimostra come la realtà politica e l’apparato normativo che i governi di Israele hanno costruito discriminino strutturalmente i palestinesi su base etnica, risolvendosi in ultima istanza in un regime di “supremazia ebraica” che si estende “dal Giordano al Mediterraneo”. Nessun incidente di percorso insomma. Il report di B’Tselem dimostra infatti che la colonizzazione del territorio palestinese occupato nel 1967 si inscrive all’interno di un processo di conquista, sostituzione demografica e annessione contrario ai più fondamentali principi del diritto internazionale.

Dopo B’Tselem anche Human Rights Watch ha pubblicato un rapporto dettagliato in cui viene mostrato come tra il Giordano e il Mediterraneo, nel corso dei decenni, “le autorità israeliane abbiano spossessato, confinato, separato forzatamente e soggiogato i palestinesi a causa della loro identità e con diversi gradi di intensità. In alcune aree queste privazioni sono così severe da costituire i crimini contro l’umanità di apartheid e persecuzione.” Human Rights Watch continua proprio spiegando come i miti politici utilizzati in Commissione, secondo cui “Israele è una democrazia ugualitaria nei suoi confini, abbiano oscurato una realtà fatta di consolidate pratiche di governo discriminatorio nei confronti dei palestinesi.” (p. 2)

Alle denunce di Human Rights Watch hanno fatto seguito quelle della più importante organizzazione per i diritti umani al mondo, Amnesty International, che nel report (rapporto) del febbraio 2022 ha definito il regime di Israele come un sistema di dominazione che secondo il diritto internazionale può essere definito come apartheid. Secondo Amnesty il trattamento dei palestinesi come una minaccia demografica, la colonizzazione a cui sono stati sottoposti sin dal 1948, e la loro sistematica bantustanizzazione dal Giordano al Mediterraneo non lasciano dubbi: si tratta di apartheid.

E proprio rispetto al punto sollevato da Fassino nel suo articolo del 17 luglio, quando scriveva che in fondo i palestinesi siedono alla Knesset, il rapporto di Amnesty dimostra come questa partecipazione sia limitata da una serie di leggi statali che discriminano i palestinesi ad ogni livello: “Il diritto costituzionale israeliano vieta ai cittadini di Israele di mettere in discussione la definizione di Israele come stato ebraico e qualsiasi legge che protegga questa identità. […] Anche se i cittadini palestinesi di Israele possono votare e candidarsi alle elezioni nazionali, in pratica il loro diritto di partecipazione politica è limitato e continuano a essere percepiti come il nemico interno”.

Tutti questi rapporti sono stati pubblicati soprattutto grazie al lavoro meticoloso di documentazione e denuncia delle violazioni del diritto internazionale svolto dalle organizzazioni della società civile palestinese. E, guarda caso, sono proprio queste organizzazioni che il 22 ottobre 2021 il “democratico” governo israeliano ha accusato, con un ordine militare, di essere affiliate a gruppi terroristici, con il chiaro intento di isolarle e prosciugarne i finanziamenti internazionali, così da impedirne il lavoro di puntuale denuncia delle violazioni del diritto internazionale e della commissione di crimini di guerra.

Invece di attaccare la Relatrice speciale delle Nazioni Unite con miti ormai in sgretolamento, con posizioni tendenti a spostare sui colonizzati le responsabilità della propria colonizzazione — secondo quanto ha sostenuto Fassino durante l’audizione i palestinesi nel 1948 avrebbero dovuto accettare “la spartizione del mandato britannico”: a quanti altri popoli colonizzati Fassino applicherebbe lo stesso principio dell’obbligo di accettazione della forza coloniale? — e con lezioni acrobatiche di “terzietà attiva”, il Presidente della Commissione degli Affari Esteri farebbe bene a fare un passo indietro dal proprio incarico istituzionale, ancor prima dell’insediamento del nuovo Parlamento deciso dalle prossime elezioni (che ci auguriamo diano finalmente la possibilità a tante cittadine e cittadini sensibili alla questione di conoscere le posizioni dei candidati sulle gravi violazioni documentate dai rapporti citati).

Le posizioni che Fassino ha espresso in questa allarmante vicenda confondono la Presidenza di una fondamentale Commissione Parlamentare — ruolo che comporta l’inderogabile dovere costituzionale di indirizzare l’attività parlamentare al perseguimento della legalità internazionale, all’attuazione degli obblighi giuridici dell’Italia e all’effettività dei diritti umani — con un forum di “Sinistra per Israele”, gruppo che nel suo manifesto dichiara apertamente di voler creare uno “scudo” contro chi solleva dubbi verso le politiche razziste dei governi di Israele, e che in nessun modo deve poter prendere in ostaggio gli indirizzi della Commissione.

 

Prime firme

Roberto Beneduce, Università di Torino

Francesca Biancani, Università di Bologna

Riccardo Bocco, Institut de Hautes Études Internationales Genève

Marina Calculli, Leiden University

Luigi Daniele, Nottingham Trent University

Gennaro Gervasio, Università Roma Tre

Luca Guzzetti, Università di Genova

Mark Levine, University of California, Irvine

Paola Manduca, Università di Genova

Triestino Mariniello, Liverpool John Moores University

Nicola Melis, Università degli Studi di Cagliari

Chantal Meloni, Università degli Studi di Milano Statale

Alice Panepinto, Queens University Belfast

Rosita Di Peri, Università di Torino

Nicola Perugini, Edinburgh University

Daniela Pioppi, Università di Napoli L’Orientale

Paola Rivetti, Dublin City University

Simone Sibilio, Università Ca’ Foscari

Lucia Sorbera, University of Sidney

Simona Taliani, Università di Torino

Andrea Teti, Senior Lecturer in Relazioni internazionali

Vito Todeschini, Legal Adviser International Commission of Jurists

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