La vera scuola, per fortuna, è più avanti di Renzi
Il piano del governo Altro che nuovo progetto culturale. Quel che non potè Gelmini riesce a Renzi. La camera dovrebbe intervenire su almeno sei punti critici
Il piano del governo Altro che nuovo progetto culturale. Quel che non potè Gelmini riesce a Renzi. La camera dovrebbe intervenire su almeno sei punti critici
Alcune riflessioni sul ddl sulla scuola approvato dal consiglio dei ministri.
La prima: è affidata alla velocità del Parlamento la possibilità che entro settembre ci siano le sbandierate assunzioni/stabilizzazioni dei docenti precari. Ma perché contingentare proprio su questo il dibattito parlamentare, ancora prima che inizi, col ricatto che non si possa attuare in tempo un provvedimento ormai urgente per la scuola e gli insegnanti. Perché non varare subito il decreto sulle assunzioni, questa volta più che giustificato? E lasciare invece spazio alla necessaria discussione sulla legge? Siamo o no, ancora, una repubblica parlamentare?
La seconda: ma davvero si può assistere a questo balletto assurdo sui precari? La maggior parte di questi docenti insegna già nella scuola e la fa funzionare. Sono persone che vivono con l’ incubo di non essere riconfermate da un anno all’altro. Donne e uomini che hanno fatto percorsi di studio e di specializzazione, che hanno superato abilitazioni, concorsi, a volte li hanno dovuti ripetere, come nel caso del cosiddetto concorso Profumo. E sono trattati come postulanti «straccioni». Davvero non se ne può più. Non si possono ogni volta cambiare le carte in tavola e temo che quando si faranno i conti con le coperture vere (parlo di soldi) cambieranno ancora le decisioni su chi assumere, quali graduatorie abolire, e via dicendo.
La terza: dopo il Presidente sindaco abbiamo anche il dirigente scolastico sindaco. Quel che non era riuscito a Moratti, Aprea e Gelmini è andato in porto col governo Renzi. E non mi pare che se ne parlasse nel documento sottoposto a consultazione. Dunque saranno i dirigenti scolastici a valutare i docenti, e ad attribuire gli aumenti di stipendio. E saranno ancora loro a «scegliere» da un albo (?) gli insegnanti, per ora dell’organico funzionale, poi chissà. Ad assumere e poi probabilmente a licenziare. Ma una chiamata su base fiduciaria mette in discussione la libertà di insegnamento, principio costituzionale, e la responsabilità più generale del processo educativo. Con questa decisione i docenti non sarebbero più dipendenti pubblici che rispondono alle finalità generali del sistema-scuola, ma dipendenti di chi li assume e che rispondono a chi li assume. Sappiamo bene che nella scuola italiana ci sono moltissimi dirigenti di grande valore. Ma non voglio pensare ai ricorsi che ci saranno e alla conflittualità che si andrà a creare. Migliora la qualità del fare scuola questa proposta?
La quarta: per mesi non si è fatto che parlare di una nuova scuola, di un grande e nuovo progetto culturale. Basta un po’ più di musica, di arte e di inglese? Dov’è un progetto di scuola che si confronti con i nuovi modi di apprendere e di vivere dei giovani e dei giovanissimi, con i cambiamenti profondi dei modi di produzione e riproduzione del sapere? Penso, e da molto tempo, che la scuola italiana sia più avanti di chi la governa. Perché non aprire con docenti, dirigenti e studenti un vero dibattito su questi temi, rimasti un po’ ai margini nella consultazione sulla «buona scuola»? E ,infine, per rendere concreta la discussione sulla scuola digitale vogliamo investire nella banda larga?
La quinta riguarda gli insegnanti in servizio. Tra loro moltissimi che, per dirla con Elsa Morante, «camminano curvi per accompagnare la rotazione della terra». Trovo sempre punitiva la discussione che si sviluppa sugli stipendi di insegnanti ai quali il 90% della popolazione affida i propri figli. Il governo ha fatto il suo dovere nel lasciare gli scatti di anzianità. Non vorrei che dimenticassimo che gli insegnanti italiani, i peggio pagati d’Europa, hanno anche alle spalle anni di blocco contrattuale.
La sesta: gli sgravi fiscali per gli utenti delle paritarie. Anche qui, quel che non poté Berlusconi…. Il «senza oneri per lo stato» non si aggira attribuendo un beneficio fiscale alle famiglie, perché il beneficio fiscale comunque rappresenta un onere per lo stato (e pare che ancora non si abbia idea del costo dell’operazione). Si continua a dire che soprattutto nella scuola dell’infanzia le scuole paritarie svolgono un ruolo sussidiario rispetto alle statali. Ma perché e quando si è rinunciato a investire nei primi gradi dell’istruzione? Infine sarebbe ora di fare chiarezza su quanti finanziamenti, per vie diverse – stato, regioni, comuni – arrivano alle paritarie e attivare, nell’interesse delle stesse scuole, i controlli previsti dalla legge 62 su requisiti e qualità del servizio.
Quel che comunque emerge dall’insieme delle proposte è un’ idea di scuola che riduce diritti e libertà, a cominciare da quella di insegnamento, in un’ottica neoliberista, falsamente manageriale.
La scuola, ripeto, è più avanti. Mi auguro che ci sia un vero e disteso dibattito in Parlamento su un tema così decisivo per il presente e per il futuro del nostro paese.
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