Editoriale

L’addio della scuola a Simonetta Salacone

L’addio della scuola a Simonetta SalaconeSimonetta Salacone

Ci ha lasciato Simonetta Salacone, una donna la cui intera vita è stata dedicata con amore, intelligenza e perseveranza alla ricerca della giustizia. È stata per tantissimi bambini, per insegnanti, […]

Pubblicato quasi 8 anni faEdizione del 28 gennaio 2017

Ci ha lasciato Simonetta Salacone, una donna la cui intera vita è stata dedicata con amore, intelligenza e perseveranza alla ricerca della giustizia. È stata per tantissimi bambini, per insegnanti, per uomini e donne un punto di riferimento per l’impegno nella difesa dei diritti, per la protezione umana fattiva, che non ha mai mancato di dare a quanti ne avessero bisogno, sia nel pubblico che nel privato.
Sempre impegnata nel sindacato e nella politica, non ha sempre ricevuto il riconoscimento adeguato al largo consenso popolare di cui godeva.

Con lei la scuola italiana (dirigente Irre e del plesso dell’Iqbal Masih di Roma) ha fatto progressi ineguagliabili, soprattutto nel campo dell’integrazione e dell’accoglienza. Ha fatto della scuola un reale luogo di incontro, confronto e crescita. I suoi 43 anni vissuti per e con la scuola hanno segnato profondamente la vita di quanti hanno potuto collaborare con lei. È stata “Maestra” che ha formato le menti, sempre in un contatto umano intenso, coinvolta per amore della conoscenza, per il piacere di portare idee che cambiassero la vita, che non lasciassero nessuno solo nella disperazione o nell’impotenza.

È stata una dirigente che credeva nel consorzio delle forze, teneva conto anche dei contributi apparentemente modesti, sapeva riconoscere le potenzialità e le valorizzava. Rifugio consapevole per chi voleva essere sollecitato a fare pensieri nuovi tradotti sempre nel fare. Non sapeva cosa fosse “l’autoreferenzialità”, era sempre presa da chi avesse vicino. Si riferiva alle insegnanti chiamandole «mie colleghe», tanto che programmava insieme a loro la progettualità e la didattica, non per controllare, ma per il piacere di fare scuola, di condividere.

Ricordiamola con le sue stesse parole: «Nella mia lunga esperienza professionale ho sperimentato che i docenti migliori sono quelli che sanno accogliere le diversità, mettersi in discussione, confrontarsi collegialmente, senza nascondere le proprie idee, ma anche senza imporle come verità assolute a colleghi e alunni… La conoscenza è aperta a tutte le possibili scoperte. Apprendere deve voler dire anche mettere in crisi precedenti certezze perché è così che si cresce, senza paura di confrontarsi con il nuovo e il non ancora conosciuto…» (lettera aperta al governo di Silvio Berlusconi e alla ministra Maria Stella Gelmini, marzo 2011).

Per lei la scuola era davvero luogo di “speranza” soprattutto per chi sembrava predestinato alla minorità o all’emarginazione, luogo di opportunità e di scambio prolifico per tutti. La scuola della Costituzione. Perciò della sua scuola, Iqbal Masih, aveva fatto un punto di riferimento non solo romano. La sua grande serena spinta vitale le ha permesso nella sua situazione personale così disperata di regalare a noi, sue amiche, fino alla fine la sorpresa di un’osservazione arguta e il sollievo di un sorriso.

Le amiche della Controra

Grazie. Per non averci mai fatto sentire “il personale docente”. Per te e con te siamo stati, sempre, una comunità educativa. E una comunità non si governa con le circolari e le “disposizioni”, ma col dialogo, la condivisione, la persuasione, e, qualche volta col confronto, anche aspro.

Grazie per averci insegnato che la solidarietà non si enuncia, ma si pratica nei fatti. Che per ogni bambino ci vuole un progetto che lo aiuti a sentirsi accettato per quello che è. Alla Iqbal Masih l’obbedienza non è mai stata una virtù, neanche obbedire a te era considerata una virtù. Ci hai aiutato a praticare la critica e la libertà. Ci hai istillato l’idea che la passione e l’impegno professionale, culturale e morale fossero il fondamento “politico” di ogni azione educativa. Ce l’hai insegnato nelle lunghe riunioni dei collegi, nel lavoro di programmazione didattica, ma anche nelle lunghe nottate nella scuola occupata – insieme genitori e insegnanti – quando capimmo tutti che la lotta per la difesa della qualità della scuola, era essa stessa scuola.

«Nella mia lunga esperienza professionale – scrivevi in una lettera aperta a un quotidiano nel marzo 2011 – ho sperimentato che i docenti migliori sono quelli che sanno accogliere le diversità, mettersi in discussione, confrontarsi collegialmente, senza nascondere le proprie idee, ma anche senza imporle come verità assolute a colleghi e alunni». «Nella scuola di Stato, quella aperta a tutti – concludevi – c’è posto, laicamente, per opinioni, idee e anche fedi diverse». Questa era per te – e resta per noi tutti – la «scuola della Costituzione» contro la «scuola azienda».

Ciao Simonetta. E grazie.

La tua scuola

I funerali si terranno oggi alle 14 nella Chiesa di Santa Francesca Cabrini, in via della Marsica 23, Roma. Non fiori ma donazioni a «Medici senza frontiere»

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