Editoriale

Quando l’opposizione non si indigna

Quando l’opposizione non si indignaLa polizia contro gli studenti venerdì a Roma – Lapresse

Manganelli di Stato Schlein e Conte gridano al regime se uno scrittore viene censurato in Rai, ma tacciono dopo l'ennesima repressione contro gli studenti che manifestano per il diritto di scegliere sui proprio corpi. Un silenzio assordante, quello delle opposizioni. Come se l'allarme democratico dovesse scattare se a essere colpito è un volto noto. E invece le antenne devono restare ben dritte quando le vittime sono i più deboli.

Pubblicato 7 mesi faEdizione del 11 maggio 2024

Un silenzio assordante delle opposizioni accompagna l’ennesima ingiustificabile repressione contro un gruppo di studenti delle superiori che manifestavano contro gli “Stati generali della natalità”. Eppure anche ieri a Roma, come a Pisa a febbraio, le immagini della violenza delle forze dell’ordine ai danni di un centinaio di giovanissimi disarmati sono terribili. In una di queste si vede una ragazzina con il sangue che esce da una ferita sulla testa, la maglietta bianca completamente coperta di rosso e una barella dell’ambulanza che le si avvicina.

Perché è stata colpita in modo così violento? Il ministro degli Interni Piantedosi non aveva detto di condividere il monito lanciato a febbraio dal presidente Mattarella, dopo i fatti di Pisa? «L’autorevolezza delle Forze dell’ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni. Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento», disse il capo dello Stato. Era meno di tre mesi fa. Da allora ci sono stati altri episodi di manganelli ingiustificati. Quali sono state in questi mesi le direttive impartite dal Viminale alle questure? Si è recepito il messaggio del Colle? Pare proprio di no. E qui entrano in gioco le opposizioni, ormai concentrate nella campagna delle europee.

Schlein è molto concentrata sulla campagna elettorale e, soprattutto, sul duello tv con Meloni, Conte su come non finire nel cono d’ombra della polarizzazione tra le due leader. Colpisce però la distanza tra le reazioni indignate dopo la censura Rai ad Antonio Scurati, alla viglia del 25 aprile, e il silenzio di ieri. Come se le opposizioni (tranne alcune rare eccezioni, come il dem Paolo Ciani, Massimiliano Smeriglio di Avs e qualche esponente romano di Pd e 5S che ieri si sono fatti sentire) scoprissero il regime incipiente solo quando a essere colpito è un volto noto, che sia lo scrittore o la conduttrice che ha denunciato la censura.

Se invece l’ipotetico regime se la prende con dei ragazzi delle superiori allora è meno regime, quasi ordinaria amministrazione. E del resto, giovedì, il coro di indignazione si è levato altissimo e monocorde quando una trentina di ragazzi e ragazze hanno contestato con cori e striscioni la ministra Roccella. Sdegno bipartisan. Dunque ieri avrebbero dovuto stare a casa, o andare a scuola, senza rompere troppo le scatole. Come a significare che sono solo i partiti, nella lotta di sumo in vista delle europee, a decidere cosa è grave e cosa no, quando si vedono i semi dell’autoritarismo e quando invece è meglio lasciar correre. Guarda caso, si lascia correre quando le vittime sono sconosciute, fuori dal circuito del potere. E invece una opposizione degna di questo nome dovrebbe fare l’esatto contrario: tenere le antenne più alte proprio quando la repressione colpisce i più deboli, quei giovanissimi che, guarda caso, votano sempre meno.

Conte non ha detto una parola ieri, mentre giovedì si era preoccupato di ammonire i ragazzi a lasciar parlare Roccella, singolare perbenismo per un movimento nato distribuendo «vaffanculo» senza troppe distinzioni. Mentre Schlein, che dice ogni giorno di voler cercare il voto dei disillusi, farebbe meglio a pensare meno al duello tv (a casa Vespa, tanto per confermare che il banco vince sempre e normalizza anche i leader sedicenti outsider) e molto più alle passioni politiche dei giovanissimi, da Gaza all’ambiente fino al diritto di decidere sui proprio corpi. Altrimenti è inutile spendere fiumi di parole sui giovani che non votano più.

Il circuito autoreferenziale di una politica sempre più ripiegata sui se stessa, in un risiko sempre meno interessante, si rompe se si fanno entrare i corpi e le menti di chi sa ancora esprimere un conflitto reale, ideale, anche fosse ingenuo. Altrimenti diventa tutto un minuetto da salotto televisivo. Dove gli allarmi per la democrazia non scattano per le teste rotte dalla polizia ma solo se viene sfiorato qualche amico, solitamente qualcuno che ha tutte le occasioni per manifestare il proprio dissenso e che, nel tritacarne dei media, facilmente riesce a ricoprire il ruolo dell’epurato.

Quella di ieri è stata una brutta pagina: per la polizia, per il Viminale, ma anche per le forze della cosiddetta alternativa alla destra imperante. Per fortuna, questa generazione di giovanissimi che protestano per Gaza e per i propri corpi sembra avere le spalle già robuste. E non è disposta a farsi silenziare.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento