Editoriale

L’assoluzione irragionevole del Pd

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«Quando vedo la Kyenge, non posso non pensare a un orango», disse Calderoli nel corso di un comizio della Lega Nord a Treviso. Ecco la frase choc a sfondo razziale […]

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 8 febbraio 2015

«Quando vedo la Kyenge, non posso non pensare a un orango», disse Calderoli nel corso di un comizio della Lega Nord a Treviso. Ecco la frase choc a sfondo razziale che aveva spinto il Movimento Cinque Stelle a procedere contro il Senatore Calderoli per il reato di istigazione al razzismo e diffamazione. Con grande sorpresa di tutti i cittadini assistiamo ad un no secco da parte della Giunta per le immunità del Senato che pronuncia una sentenza a favore di Calderoli.

Una sentenza indigeribile che aprirà molti dubbi circa la credibilità del Pd sui temi dei diritti umani e soprattutto della lotta contro le forme di discriminazioni razziali. Personalmente mi chiedo: chi è veramente questa razza di partito che apre le sue urne agli immigrati diventati italiani per raccogliere i loro voti? Chi è questo partito che parla di integrazione ogni giorno e quando deve prendere decisioni importanti, preferisce seguire i predicatori del razzismo? Come possiamo nominare questo partito democratico che si dichiara antirazzista quando gli conviene e quando si chiude nelle stanze decisionali, divide l’opinione pubblica sui temi importanti come il razzismo e la discriminazione? Il Pd vota, fa retromarcia e promette di correggere il falso passo. In altre parole nasconde la testa sotto la sabbia come lo struzzo.

Du déjà vu! Questa brutta sentenza suona come un’allerta forte per noi considerati in questo situazione «oranghi» ormai da quattro secoli di schiavitù, tre secoli di colonialismo e oggi visti come veri negri che non hanno il loro posto nel Parlamento e negli uffici, ma sui rami degli alberi, come disse il collega di Calderoli, la xenofoba Anne-Sophie Leclère, alla Dottoressa Christiane Taubira. In Francia, la signora Anne-Sophie Leclère è stata condannata. In un paese civile anche i cani sono rispettati. Il mio cane ha un nome e non si chiama cane.

Non si critica mai una sentenza ma oggi il Parlamento ha dato via libera a chiunque di indirizzare le stesse parole di Calderoli ai cittadini diversamente visibili.
Istigare le persone a considerare i neri come animali non è satira, né critica, ma solamente un reato. Ecco perché tale frase dev’essere condannata per insegnare ai cittadini il comportamento decoroso verso il diverso.

Questa brutta sentenza segnala senza dubbio e mi assumo la responsabilità della mia affermazione, la condizione di una classe politica vittima di un’enorme ristrettezza di vedute nel suo modo di elaborare e di contrastare il razzismo. Cari cittadini, vi pongo solamente tre domande: se Kyenge fosse un uomo, sarebbe così derisa? Se Kyenge fosse un’ebrea, Calderoli sarebbe condannato? Se Kyenge fosse una nera americana, la sentenza sarebbe diversa?

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