Fra le tante dinamiche disumane che caratterizzano la natura del capitalismo ce n’è indubbiamente una che conferma clamorosamente, come bene accenna Brancaccio, la famosa analisi di Marx secondo la quale, appunto, il funzionamento e la sopravvivenza stessa del capitalismo necessitano di un ingente e costante massa di uomini e donne in stato di indigenza (anche parziale) e quindi di disperato bisogno di reddito e di occupazione (il famoso “esercito di riserva”). Con la sola novità, forse, che il capitalismo moderno ha ormai esteso a livello globale e a qualsiasi latitudine questa perversa intrinseca dinamica di per sè estremamente pervasiva, invasiva e totalizzante. Possono cambiare tuttalpiù solo l’intensità di applicazione di questa dinamica o, per converso, le diverse capacità dei singoli Stati/amministrazioni locali di sapere e/o volere contrastare i suoi effetti più disastrosi sulla coesistenza civile. Ad esempio mettendo in campo svariate tipologie di interventi di welfare state. L’istituzione di un reddito di cittadinanza è uno di questi, ma esistono molte altre possibilità a tal fine, come è stato sperimentato o ipotizzato da valenti sociologi, politici, economisti (leggasi la sempre interessante – per quanto sconsolante - intervista alla Saraceno). Detto ciò, c’è poi una dinamica più specificamente nostrana. Quella che correttamente Roberto Ciccarelli, nell’articolo gemello a questo (“Record povertà, salari fermi: Meloni, fine della narrazione”), definisce come “il marchio di fabbrica del capitalismo straccione italiano”. Un marchio che da sempre contraddistingue il “capitalismo” italiota, fatta di sistematiche allergia, elusione, evasione delle regole e dei diritti e di ogni pur vago interesse generale.