Le due facce della medaglia
Onestamente, i magistrati non hanno dovuto faticare molto. Non ci volevano due anni e 50 udienze per giudicare ridicola la balla della nipote di Mubarak, per valutare il comportamento gravemente […]
Onestamente, i magistrati non hanno dovuto faticare molto. Non ci volevano due anni e 50 udienze per giudicare ridicola la balla della nipote di Mubarak, per valutare il comportamento gravemente […]
Onestamente, i magistrati non hanno dovuto faticare molto. Non ci volevano due anni e 50 udienze per giudicare ridicola la balla della nipote di Mubarak, per valutare il comportamento gravemente concussivo di un presidente del consiglio che in piena notte, da un vertice internazionale a Parigi, telefona sei volte alla questura di Milano per sollecitare il trasferimento di una ragazza minorenne, sua ospite nelle notti di Arcore, nelle mani della maestra di burlesque, alias la consigliera regionale Nicole Minetti. Del resto né l’imputato eccellente, né i suoi difensori avevano negato le telefonate incriminate. Dunque bisognava solo dimostrare di non credere alla favola dell’incidente diplomatico con il rais egiziano.
Né bisognava essere menti raffinate per svelare “un sistema prostitutivo”, maldestramente camuffato dalla trovata delle cene eleganti, alimentato da carovane di ragazze stipate nel falansterio di via Olgettina, foraggiate da fiumi di denaro. Un traffico di carne fresca così intenso e sfibrante da far sbottare una amica del Cavaliere come l’onorevole Maria Rosaria Rossi con la frase fatidica che poi darà il titolo alla saga («…allora stasera bunga bunga…mi tocca vestirmi da femmina…»).
Questa condanna a sette anni con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici in primo grado è una sentenza severa, che chiama in causa i funzionari della questura di Milano, le “olgettine”, fino al musico di corte Apicella. I giudici hanno smontato, una dopo l’altra, le fantasiose ricostruzioni difensive dell’onorevole Ghedini. E il macigno del giudizio penale del processo Ruby si aggiunge alla condanna a quattro anni sui diritti Mediaset, con Berlusconi giudicato colpevole di una “colossale” evasione fiscale, come è scritto nella sentenza, questa volta di secondo grado dunque senza possibilità di appello per il merito dell’indagine.
Il caso ha voluto che nella stessa giornata la ministra Josefa Idem, per una vicenda di Ici non pagata per intero, fosse chiamata a renderne conto pubblicamente e poi invitata a dimettersi. Scegliendo di lasciare ha dato il buon esempio a una classe politica di pluricondannati incollati alla cadrega. E tanto più sono apprezzabili le dimissioni di Idem, quanto più fanno risaltare la differenza tra chi ha rispetto di se stesso e degli elettori e chi, invece, insiste a recitare la gag del perseguitato. Sono due facce della stessa medaglia: pulita quella della ministra per le pari opportunità, moneta di scambio quella dell’ex presidente del consiglio che non molla neppure di fronte alle accuse più infamanti.
Le verità giudiziarie svelano la natura criminale di un’anomalia politica che, sotto il mantello del conflitto di interessi, ha segnato e continua a connotare la vicenda italiana degli ultimi decenni. Una leadership sfigurata che in qualunque angolo del mondo avrebbe lasciato il campo, e che, al contrario, nonostante le condanne del tribunale e la sonora, doppia sconfitta elettorale (ratificata dai ballottaggi siciliani), torna invece a dettare l’agenda nella surreale cornice delle larghe intese.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento