Le macerie politiche e istituzionali dell’ideologia della rottamazione
Renzismo L’attacco a un’istituzione di riserva come la Banca d’Italia è un misto di insipienza (Renzi in tv non seppe dire chi fosse Donato Menichella) e di populismo straccione
Renzismo L’attacco a un’istituzione di riserva come la Banca d’Italia è un misto di insipienza (Renzi in tv non seppe dire chi fosse Donato Menichella) e di populismo straccione
Dopo le dure parole di denuncia del presidente del senato, forse è maturo un giudizio storico-politico sul Pd. La prima considerazione è che si tratta di una organizzazione fortemente ideologica. Non nel senso che il Pd sia dotato di una generale concezione del mondo che interpreta la realtà con codici selettivi e mobilita i soggetti per imprese collettive.
Ma nel senso pregnante che il Nazareno coltiva l’ideologia del comando di una persona che non concepisce altro legame che il servizio prestato alle sue ambizioni di potere.
Senza alcun preconcetto moralistico, questo disegno spinge a piegare le strutture del partito e le dinamiche istituzionali alle esigenze di un potere concentrato nella persona. Il compimento dell’ideologia della rottamazione.
Essa disvela la prevedibile conversione del Pd da partito che ospita plurali sensibilità, connesse tra loro per il richiamo ai valori del riformismo costituzionale, in un soggetto esangue a disposizione del capo.
Dopo la scalata renziana al vertice del partito e del governo, non ci sono dubbi che la salute delle istituzioni repubblicane è manifestamente deteriorata.
L’attacco alla tradizionale impermeabilità di una istituzione politica di riserva come la Banca d’Italia è un misto di insipienza (del resto, quando Renzi comparve nelle primarie a sfidare Bersani in Tv non seppe rispondere a una domanda su chi fosse Menichella!), di populismo straccione (incamerare qualche voto confidando sul risentimento dei risparmiatori), di irresponsabilità (disprezzo di ogni senso dello Stato). Quando, per piccoli obiettivi di consenso, non si risparmiano nella contesa delicati equilibri formali, che vengono travolti senza remore, il degrado della funzione politica è a livelli di guardia.
Si comprende un certo imbarazzo dei poteri forti (la grande stampa consiglia il neurologo) e di ancora fresche cariche istituzionali (Napolitano denuncia pressioni indebite sui vertici dell’esecutivo) dinanzi a certe condotte corsare di un loro antico protetto.
La volontà di potenza di Renzi riduce il partito a un puro strumento di disciplina che reclama l’obbedienza dei parlamentari dinanzi a qualsiasi metamorfosi programmatica.
Il presidente del consiglio torna ad essere un figurante che è informato per ultimo delle scelte più rilevanti decise a Rignano e si limita a eseguire con diligenza impiegatizia gli ordini tassativi ricevuti. Non si tratta della riedizione di una cosa antica, cioè della supremazia del partito sul governo. E’ in gioco solo la capacità di intimidazione del leader che non ha più voti ma esercita il comando assoluto dinanzi a organismi collegiali evaporati.
Non solo uno statista evanescente come Gentiloni cede lo scettro dinanzi alla dura voce del padrone. Anche parlamentari di lungo corso come Finocchiaro, Minniti, Pinotti vagano nei palazzi come fantasmi inanimati in attesa di soddisfare la temuta voce del comandante. Gli stessi ministri tecnici (Padoan, De Vincenti) contribuiscono al definitivo discredito dell’accademia con il loro prolungato e supino inchino alle pretese più irrazionali del giglio magico.
Il Pd ha colpito la credibilità e il prestigio della presidenza della camera, incapace di proteggere l’autonomia e la dignità dell’istituzione dinanzi a richieste arroganti di voti di fiducia sulla legge elettorale, peraltro in assenza di atteggiamenti ostruzionistici delle opposizioni.
Irreversibili sono i segni di sgretolamento che si avvertono nel parlamento indotto a fabbricare leggi incostituzionali a gettito continuo.
L’abuso del voto di fiducia richiesto su materie elettorali, costituzionali travolge definitivamente il ruolo del parlamento da anni in declino. Il dibattito in aula non ha alcun senso e le camere sono soltanto l’arena per esibire continue manifestazioni di obbedienza ai desideri del capo ferroviere. Il Pd trascina il Quirinale in un generale processo di de-costituzionalizzazione per la forzatura delle regole, per l’insensibilità democratica che induce a manipolare le tecniche elettorali alla vigilia del voto.
Concordando con la destra una legge elettorale che consegna a Salvini l’intera deputazione dei collegi uninominali del nord, il Pd ordina il possibile suicidio della repubblica in un tempo che non rende affatto dormienti le voci di secessione. L’ideologia della rottamazione trionfa, ma il conto è amaro.
Ha distrutto il partito, ha minato le funzionalità delle camere, ha spento l’autonomia di Palazzo Chigi, ha indebolito il potere neutro del Colle, ha posto sotto assedio la Banca d’Italia, ha regalato alla Lega le armi letali della indipendenza padana, ha trasformato il popolo sovrano in puro organo di accettazione di una falsa rappresentanza che cala dall’alto. Le parole di Grasso devono illuminare chi lavora per raccogliere le forze della resistenza costituzionale sfidando la leadership attuale del Pd come regista della crisi della democrazia.
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