Editoriale

Il Sud nella tagliola

La scontro con la Cgil e il pestaggio degli operai nascondono tre limiti del governo Renzi: l’assenza di una politica industriale, 8 miliardi di tagli al Sud, una politica di […]

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 2 novembre 2014

La scontro con la Cgil e il pestaggio degli operai nascondono tre limiti del governo Renzi: l’assenza di una politica industriale, 8 miliardi di tagli al Sud, una politica di bilancio contro la crescita. Nella giornata mondiale del risparmio il governatore di Bankitalia Visco ha auspicato un’azione Ue per gli investimenti: un’interpretazione non restrittiva del Fiscal Compact consente politiche di bilancio espansive. Il ministro Padoan ha confermato che il governo ha anticipato il piano di investimenti Juncker da 300 miliardi e chiederà alla task force europea (Commissione, Bei e stati membri) 10 miliardi per mille progetti di investimento.

Qualcosa non quadra. Perché chiedere prestiti alla Bei quando abbiamo i nostri fondi? Secondo i dati al 31/05/2014 l’Italia ha 26 miliardi dei suoi programmi Ue del ciclo 2007-2013 e deve spenderli entro il 2015 (altrimenti restituiamo il contributo europeo). Ergo il Governo dovrebbe investire i nostri fondi prima di chiedere prestiti alla Bei. Altra contraddizione: martedì il Sottosegretario Delrio ha assicurato che il Sud diventerà un «problema» di tutto il paese. Nel contempo taglia i fondi per lo sviluppo al meridione. Vediamo nel merito.

Nel ciclo 2014-2020 l’Italia avrà da Bruxelles 42,1 miliardi: 31,7 miliardi di fondi strutturali (Fse e Fesr) e 10,4 miliardi del Feasr (Fondo Europeo Agricolo di Sviluppo Rurale). Dovremmo aggiungere 42 miliardi per cofinanziare al 50%. In Puglia, Sicilia, Calabria, Campania e Basilicata sono concentrati 26,7 miliardi: con un cofinanziamento nazionale al 50% il Sud avrebbe 53 miliardi. Purtroppo Delrio alla Camera (il 7 ottobre in Aula e il 30 settembre in Commissione) ha annunciato la riduzione del cofinanziamento per Fesr e Fse a Campania, Calabria e Sicilia dal 50% al 25%. In sette anni 8 miliardi in meno. Calcoliamo precisamente la dotazione Fse-Fesr per le Regioni e i tagli al cofinanziamento. La Sicilia ha 6860,9 milioni di euro da Bruxelles: il suo cofinanziamento ridotto al 25 % vale 3430,45 milioni e perde altrettanti soldi.

La Calabria ha 3.031 milioni europei e perde 1.515 milioni di cofinanziamento. La Campania ha 6.325 milioni Ue e perde 3.162 milioni di cofinanziamento. Se la riduzione fosse estesa a Puglia e Basilicata il taglio complessivo arriverebbe a 11,1 miliardi di euro in sette anni. La Basilicata perderebbe 431,65 milioni e la Puglia 2,56 miliardi. Delrio ha dato due assicurazioni: le virtuose Puglia e Basilicata non subiranno tagli; una legge impedirà che tali risorse diventino un bancomat del governo e i soldi si spenderanno nelle suddette tre regioni. Questa ipotesi fumosa cela la necessità di rispettare il 3% deficit/Pil e compiacere la Merkel. Se il governo non vuole tagliare 8 miliardi in Campania, Calabria e Sicilia può semplicemente spostare gli 8 miliardi dai programmi regionali ai programmi gestiti dal Governo nei medesimi territori.

Secondo l’art.12 del decreto Sblocca-Italia Renzi può sostituire i governatori delle tre Regioni dicendogli: «Poiché siete inefficaci e poiché io governo non voglio sottrarre fondi al Sud, vi sostituisco e programmo io la spesa di quei soldi nei vostri territori: così non leviamo risorse ai cittadini meridionali».

Il governo è privo di pianificazione strategica e dovrebbe usare i fondi Ue ispirandosi al volume «L’altra globalizzazione» di Marco Canesi, docente di pianificazione territoriale al Politecnico di Milano. L’autore affronta il declino italiano partendo dalla debolezza dell’economia meridionale: il suo deficit commerciale – quasi tutto in prodotti industriali – è quasi il 20% del suo Pil. Il Sud ha bisogno di un bacino produttivo autocentrato, esteso dal napoletano alla Sicilia. Si realizza con due interventi.

Primo: l’Alta capacità Napoli – Reggio Calabria: proprio perché Alta capacità e non Alta velocità sarebbe la spina dorsale del Sud e assicurerebbe quasi dovunque frequentazioni giornaliere. È necessario un tracciato che attraversi i territori interni in cui sono storicamente situati gli insediamenti più rilevanti. Potenza dovrebbe diventare un nodo ferroviario irrinunciabile e consentire connessioni in ogni direzione fra le più importanti città meridionali; con una nuova linea verso Foggia, Potenza collegherebbe la direttrice adriatica e quella tirrenica in modo strategico. Secondo: la creazione di tre nuove città policentriche. Basterebbe poco: un adeguato servizio ferroviario regionale che, in sinergia con l’Alta capacità, legasse in relazioni urbane (60 minuti) due gruppi di comuni, uno in Basilicata e Puglia (Potenza, Tricarico, Ferrandina, Matera, Altamura, Gravina, Genzano) e l’altro in Calabria (Cosenza, Rogliano, Serrastretta, Catanzaro, più gli insediamenti limitrofi).

La terza città policentrica avrebbe il baricentro nel bipolo Reggio Calabria-Messina. Vediamo i costi. La linea Alta capacità tra Napoli e Reggio Calabria costerebbe 20 miliardi di euro; il tracciato anulare della città policentrica apulolucana (in parte già realizzato)un miliardo di euro, mentre il tracciato lineare della città calabrese sarebbe a costo zero (coincidendo con quello dell’Alta Capacità). Secondo Canesi, il nuovo assetto territoriale aprirebbe una prospettiva industriale impensabile.

Grazie alla potenza delle economie di agglomerazione messe in gioco, le filiere produttive (in primis il made in Italy) supererebbero la loro frammentazione in articolate relazioni intersettoriali: vecchie e nuove attività si integrerebbero, costruendo un bacino produttivo aperto ai Paesi rivieraschi del Mediterraneo, in grado di offrire ciò che occorre ad un loro appropriato sviluppo. Inoltre vi sarebbe una straordinaria economia esterna. Grazie al gigantismo navale e alle crescenti economie di scala con cui stanno facendo i conti le grandi compagnie di navigazione, i porti di Taranto, Gioia Tauro e Crotone – in coordinamento con Genova e Trieste – potrebbero diventare il nodo esclusivo dei flussi commerciali tra Oriente e Occidente e, quindi, le sedi di nuove rilevanti attività manifatturiere.

I porti diverrebbero luoghi appetibili per le attività indotte dalla movimentazione container e per attività cui sia strategico l’accesso al mare. Si potrebbe creare nei retroporti un polo specializzato della meccanica strumentale pesante. Il Sud avrebbe uno sviluppo autenticamente autonomo grazie a tali attività meccaniche; non sarebbe più una colonia-mercato per i prodotti del Nord Italia e dell’Europa.

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