Editoriale

Le vostre ali per un progetto comune

Le vostre ali per un progetto comune/var/www/vhosts/ilmanifesto.co/ems/data/wordpress/wp content/uploads/2013/12/26/27 speciale disegno pedro scassa vado e torno – Pedro Scassa

Grazie Di essere con noi. Di dimostrarlo con affetto. Di farci sentire una comunità. Di sostenerci con parole che aiutano a non smarrire la rotta in un momento così difficile per la sinistra. Ora ci attende un anno pieno di ostacoli ma ricco di una nuova prospettiva

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 27 dicembre 2013

Grazie. Lo dedico, personalmente e a nome del collettivo, alle lettrici e ai lettori che «vogliono bene» al manifesto. È il vostro affetto, prima ancora della condivisione di un’impresa comune, a darci la spinta e la voglia di moltiplicare il nostro impegno. È il vostro sostegno – morale, materiale, intellettuale – a farci comprendere quanto sia importante riuscire a realizzare un giornale libero.
Un contributo significativo della vostra partecipazione è leggibile nelle venti righe che ogni giorno pubblichiamo in prima pagina: in poche parole avete espresso un sentimento di fiducia e di apprezzamento che alimenta e rafforza le ragioni della nostra particolare «militanza» politica e del nostro lavoro professionale.
Avete scritto che vi abbonate per le ragioni più diverse, eppure tenute insieme da un forte filo rosso: perché siamo una voce di minoranza (non minoritaria), votata allo smascheramento delle retoriche del potere; perché rappresentiamo un luogo di resistenza per una sinistra orfana dei partiti; perché siamo un punto di forza proprio quando appare più evidente la debolezza di una sinistra che identifica la politica con la casta, la giustizia con il giustizialismo, la rabbia con il qualunquismo; perché il manifesto si mantiene fedele a un discorso critico originale (figlio delle sue origini eretiche), e utile soprattutto quando tutto è confuso e la vita procede alla giornata; perché siamo curiosi di capire quel che succede nell’arte, nel cinema, nella cultura fuori e oltre le rotte più battute; perché sono tante le cose da cambiare e il manifesto non è tra queste; perché tra il nostro dire e il nostro fare rimane ancora qualche somiglianza; perché in queste pagine continuiamo ad allungare lo sguardo su un mondo sfigurato dalle guerre di un neocolonialismo violento che gonfia esodi migratori e moltiplica i muri ai confini della fortezza Europa.

E perché non abbiamo mai distolto l’attenzione dalla ferita sempre piu profonda sul corpo del Medio Oriente.
Tra le ragioni della vostra vicinanza c’è, naturalmente, la preoccupazione che riguarda il mondo dell’informazione, piegato a un ruolo di equilibrio su un’opinione pubblica avvolta in un pulviscolo di notizie e modestissima informazione, perché sommersa da «retroscena», gossip e «panna montata», che sviliscono le scelte di contenuto, di approfondimento, di chiarezza.

Una informazione travolta da onde impetuose di propaganda che annebbiano le differenze sociali e in nome dell’emergenza annullano il conflitto – politico, culturale –, materia prima della democrazia. Dietro i continui appelli alla responsabilità, dietro gli inviti a mettere da parte le differenze politiche in nome di un superiore bene comune, si nasconde il prezzo da pagare, ogni volta più alto per chi sta in basso. Fino a scoprirci come il paese con le più forti diseguaglianze sociali. Oggi, nella crisi della carta stampata, non c’è solo la crescita impetuosa e travolgente di internet ma anche la perdita di ruolo dell’informazione.

Noi non siamo un’isola felice. Sarebbe presuntuoso sostenerlo. Soprattutto perché un giornale senza padroni e padrini fatica a vivere in una situazione economica che quotidianamente mette in difficoltà la macchina produttiva di una piccola impresa editoriale. Ognuno di noi che lavora qui ha un ruolo protagonista, ma porta un enorme peso sulle proprie spalle. E siccome un giornale è anche una merce, come non si stancava di ripetere Luigi Pintor, un prodotto costretto a vivere in un mercato fasullo nel quale la crisi colpisce più duramente chi non può contare su un editore, un finanziere, un partito, la verità di fondo è la stessa di sempre: dopo quarantadue anni di esistenza il manifesto ha ancora bisogno del forte sostegno di chi lo legge. Che, per nostra fortuna, non ci è mai mancato. E anche questa volta siamo sicuri di trovarvi al nostro fianco nella fase, delicata, impegnativa eppure straordinariamente piena di prospettive, che stiamo vivendo.

[do action=”citazione”]L’anno che sta per iniziare sarà quello della vendita della testata. La domanda, imperiosa e ineludibile, è questa: chi comprerà il manifesto?[/do]

Noi siamo ben intenzionati a riacquistare il giornale. E siamo convinti di riuscirci. Ma a una condizione: avervi al nostro fianco, partecipi e protagonisti della «conquista» di questo storico obiettivo. Che ha dei passaggi obbligati.
Dovremo, innanzitutto, arrivare all’appuntamento in piena forma. Dunque con una campagna abbonamenti (proseguirà per il mese di gennaio) che deve coinvolgere almeno 2000 nuovi abbonati. Per noi sono moltissimi, però solo con questo rifornimento di sostegno e di consenso faremo fronte alle falle che giornalmente si aprono stressando quotidianamente la nostra navigazione. L’abbonamento è una cura ricostituente che ci darà la forza per lanciare una grande campagna per l’acquisto della testata.
Vogliamo capire se in Italia, tra operai, insegnanti, dipendenti pubblici, intellettuali, artisti, sindacalisti, politici, precari, se tra giovani e vecchi combattenti per il cambiamento, c’è ancora consapevolezza del valore politico di una iniziativa così importante. Un giornale di proprietà della nostra cooperativa e dei suoi sostenitori è un avvenimento storico.

Questo passaggio rappresenta una prova per tutti. Il manifesto non è un partito, è un progetto. Chi lo scrive come chi lo legge si sente partecipe di una comunità che esprime commenti, opinioni e riflessioni plurali, anche critici, polemici, spesso contraddittori, mai rassicuranti, mai disarmati, sempre attenti nel cogliere un punto di vista diverso dal buon senso comune.

Tra di voi c’è chi ci compra fin dal 1971 e ha continuato fino a oggi, avendo vissuto le tante lacerazioni interne, non ultima quella del 2012 con il distacco di fondatori – Rossana Rossanda, Valentino Parlato e altri – che ha rappresentato il momento più difficile nella vita del manifesto. Ma proprio grazie a voi «antichi militanti» e alle nuove leve di lettrici e lettori, abbiamo capito che sulle nostre opinioni e sulle nostre divisioni, si imponeva una priorità: la salvezza del giornale. Non ci stancheremo mai di ricordare che intraprendere un nuovo cammino è costato molto, sotto ogni aspetto. Però oggi il manifesto c’è e non intende limitarsi a sopravvivere. Perciò contiamo su di voi. Qui e ora. E domani.

In cambio, stiamo lavorando a nuove idee, iniziative, spazi, affinché sia sulla carta che sul web il collettivo possa mettere in campo tutte le proprie energie.

Queste quattro pagine speciali sono straordinariamente a colori, ma da gennaio il colore sarà un elemento nuovo, costante, importante, frutto del recente rinnovo contrattuale con la nostra tipografia. Quante volte, nell’impaginazione di inchieste e reportage, abbiamo desiderato potervi offrire un servizio fotografico a colori. Finalmente sarà possibile colorare le due pagine centrali del giornale. Nuovo sarà anche un inserto economico settimanale di quattro pagine che il manifesto ospiterà molto presto, curato dal gruppo di Sbilanciamoci, economisti che voi già conoscete attraverso le firme che spesso commentano i fatti dell’economia italiana e internazionale. Andiamo incontro alle elezioni europee e vogliamo arrivarci offrendo uno spazio di dibattito e di inchiesta. Siamo stati il giornale che una decina d’anni fa inaugurò una pagina con la «testatina» Europa perché era per noi essenziale intervenire sulle contraddizioni di una costruzione monetaria che via via annullava le conquiste sociali discriminanti nella via keynesiana alla socialdemocrazia.

Per affrontare il futuro e realizzare i nostri progetti abbiamo bisogno di più solide basi. Noi ci siamo, e voi?

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