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L’eredità del «Duca», un’utopia chiamata jazz

L’eredità del «Duca», un’utopia chiamata jazzDuke Ellington all’aeroporto di Kabul nel 1963

Storie/Il genere afroamericano non ha mai attecchito del tutto nel paese asiatico, sempre ancorato alla tradizione

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 4 settembre 2021
Sembrano lontanissimi i tempi in cui, all’aeroporto di Kabul, atterra un jet con l’orchestra di Duke Ellington. Lontanissimi. Con il no alla musica dei talebani rimarranno «storia passata» o «testimoni epocali» i pochi clip ancora visionabili in rete, dove ad esempio la cantante Sarhadi Kleret intona una straordinaria, commovente versione di Motherless Child, forse il maggior spiritual afroamericano, accompagnata dagli strumenti locali di un’eccellente band afgana: «Qualche volta mi sento come un bambino senza la madre». Parole e suoni ora drammaticamente attuali. La domanda urgente, tragica, è dunque cosa rimarrà di una cultura musicale ricchissima, nella cui versatilità il jazz...

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