Alias Domenica

Leroy, opacizzazioni del rembrandtiano

Leroy, opacizzazioni del rembrandtianoEugène Leroy, "Nu de dos", 1957, collezione privata

A Parigi, Musée d’Art Moderne, "Eugène Leroy, peindre", a cura di Julia Garimorth Nel 1961 impressionò il giovane Baselitz: «Un ammasso di lamiere proveniente da una piccionaia che mi illuminava la testa». Con la sua «luce sorda» e il sovrapporsi incessante di strati di materia, che ostacolano la riconoscibilità del soggetto, si votò, rigoroso e solitario, al dipingere in sé. 150 opere (dipinti e grafica), 60 anni di attività

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 10 luglio 2022
Eugène Leroy, “Autoportrait”, 1958 ca., Roubaix, collezione privata Se c’è un artista per cui il palindromo tedesco Leben / Nebel (vita / nebbia) funziona come riflesso immediato di un ipertrofico modus operandi, questo è proprio Eugène Leroy (Tourcoing, 1910 – Wasquehal, 2000). L’osmosi tra la sua vita interiore e il motivo che dipinge è un continuo, incessante sovrapporsi di energie vitali e strati di materia che opacizzano l’immagine nell’atto stesso di trasfigurarla. «Tutto ciò che ho cercato in pittura è di arrivare (…) a una sorta di quasi assenza, in modo che il dipinto sia totalmente sé stesso», dice Leroy...

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