L’esempio di Accorinti è anche una lezione di storia
Pace e guerra Due generali che fuggono davanti ad una bandiera che riporta un articolo della Costituzione sulla quale, in teoria, avrebbero giurato fedeltà. Un ministro del governo Letta/Alfano, Giampiero D’Alia, che definisce […]
Pace e guerra Due generali che fuggono davanti ad una bandiera che riporta un articolo della Costituzione sulla quale, in teoria, avrebbero giurato fedeltà. Un ministro del governo Letta/Alfano, Giampiero D’Alia, che definisce […]
Due generali che fuggono davanti ad una bandiera che riporta un articolo della Costituzione sulla quale, in teoria, avrebbero giurato fedeltà. Un ministro del governo Letta/Alfano, Giampiero D’Alia, che definisce demenziale l’esposizione su una bandiera dello stesso articolo della Costituzione, pretendendo che chi l’ha esposto, il sindaco di Messina Renato Accorinti, chieda scusa alle Forze Armate.
Sembra di rivivere un refrain degli anni ’60 quando altri ministri, allora scudocrociati, parlarono di alto tradimento per la visita di un altro sindaco, Giorgio la Pira, anch’egli siciliano ma primo cittadino di Firenze, in casa del “nemico” vietnamita. D’Alia ricorda gli strali contro don Milani e la sua «Lettera ai cappellani militari» o l’indignazione degli Stati Maggiori che costrinsero Padre Ernesto Balducci a lasciare la Rai e Firenze, per ricevere asilo nella diocesi di Fiesole. Passano gli anni, ma l’indignazione militarista ha lo stesso motivo, quasi come un passo cadenzato. Ad Accorinti non si perdonano diverse cose. La prima di non aver rinnegato il suo essere pacifista ma di averlo incarnato fin sotto la fascia tricolore di sindaco. Non come il governatore Crocetta che in campagna elettorale promise tuoni e fulmini contro il Muos di Niscemi e poi, una volta eletto, ha messo la retromarcia revocando l’incarico agli avvocati della Regione Sicilia che avrebbero facilmente vinto davanti al Consiglio di Stato.
La politica vera è quella del sindaco scalzo, della sobrietà sull’opulenza del potere, della Costituzione sulla retorica falsamente patriottica. Perché i monumenti ai caduti di tutte le guerre sono lì a gridarci il “mai più alla guerra”, affinché non si smarrisca la memoria di giovani generazioni a cui è stato proibito di amare, di vivere, di scrivere, di camminare. Il senso stesso del monumento ai caduti non è certamente quello di chiederne dei nuovi, per nuove lastre di marmo e nuove ipocrite alzabandiera. Renato ha palesato questo grido, lo ha ricordato con le parole del più amato Presidente della Repubblica con il suo «Svuotiamo gli arsenali, riempiamo i granai». Ecco l’altra cosa che non si perdona ad Accorinti, l’aver riportato a galla nella memoria collettiva un inquilino del Quirinale le cui parole sono diametralmente opposte a quello dell’attuale. Napolitano ha parlato contro ogni tentativo di ridimensionare le spese e le missioni militari. Come già successo sugli F35 con una tempestività guerriera ha convocato il Consiglio Supremo di Sicurezza perché al parlamento arrivi il diktat militarista. In questa Italia Pertini è una eresia, è motivo d’indignazione istituzionale.
«I militari sono oggi delle persone che lavorano per evitare la guerra, per interporsi tra coloro che vogliono farla», secondo il ministro Mauro. Così dovrebbe essere secondo la nostra Costituzione, ma è veramente così? In Iraq per due volte in un decennio non ci siamo interposti ma abbiamo partecipato ad una guerra di aggressione. In Kossovo eravamo talmente per l’interposizione che bombardavamo Belgrado e Novi Sad e a terra appoggiavamo l’Uck che fine ad un mese prima era nella black-list delle organizzazioni terroristiche. In Afghanistan quale sarebbe il nostro ruolo d’interposizione? In Somalia abbiamo aperto le camere della tortura e ci siamo schierati con una delle frazioni in campo. In Libia i nostri bombardieri erano forse schierati per impedire il contatto tra Gheddafi ed i ribelli?
Ma ad Accorinti non si perdona anche di aver svelato l’ipocrisia della “festa della Vittoria” proprio alla vigilia delle celebrazioni per i 100 anni della Prima Guerra Mondiale. L’inutile strage, come la definì il Papa dell’epoca, ci verrà dipinta come il coronamento del Risorgimento invece di una colossale macelleria fatta per ingrassare i profitti della borghesia capitalista. In quella guerra, esattamente come le attuali, l’Italia si ritrovò aggirando il voto del parlamento – contrario all’ingresso nel conflitto- con il fatidico Patto di Londra. Anche un liberale come Giolitti (sosteneva che «con la pace l’Italia ci avrebbe guadagnato parecchio») deve essere seppellito sotto le verità ufficiali. Per far dimenticare che fu nel fuoco di quella carneficina che vennero forgiate le avventure totalitarie del fascismo e del nazismo. Anche per questo grazie di cuore a Renato Accorinti, insegnante di educazione fisica, per la sua straordinaria lezione di storia.
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