Basta emergenza, la scuola ha bisogno di politica e programmazione
Lettere L’analisi dei docenti dell’IIS “G.G.Trissino” di Valdagno
A più di due mesi dal decreto che prevedeva la DAD al 100% per le scuole superiori e dopo gli ennesimi rimpalli di responsabilità tra Stato e Regioni che pare non riescano – e non vogliano – trovare una soluzione alla questione scuola, ci sembra doveroso prendere la parola come docenti dell’Istituto “G.G. Trissino” per esprimere preoccupazione in merito alla situazione in cui studenti, insegnanti, dirigenti scolastici, personale ATA e famiglie galleggiano da quasi un anno.
Non si tratta di manifestare un acritico “vogliamo tornare in presenza senza se e senza ma”; siamo consapevoli del fatto che la situazione è emergenziale e che una riapertura frettolosa potrebbe risultare una scelta incauta. Sebbene, come afferma l’Istituto Superiore di Sanità nel suo ultimo report, le scuole siano luoghi relativamente sicuri per quanto concerne l’indice dei contagi, sappiamo anche che queste sono inserite in un ben più complicato contesto sociale e ambientale.
Tuttavia, e proprio alla luce di tale complessità, vorremmo che di scuola si parlasse in modo sostanziale, approfondito, problematico, per evitare appunto che il dibattito si risolva in uno sterile braccio di ferro tra “aprire” e “chiudere” e che le misure da prendere non si riducano a stralci di burocratese inseriti all’interno di DPCM o di ordinanze regionali.
La DAD “funziona” perché docenti e studenti insieme si stanno impegnando quotidianamente per farla funzionare, reinventandosi ogni giorno e cercando di minimizzare il danno. Ora più che mai noi docenti vogliamo esserci per i nostri studenti, consapevoli che, quando accendiamo il PC, riusciamo almeno un po’ a scalfire l’isolamento a cui tutti siamo sottoposti in questo periodo. Ciononostante non va tutto bene. E nell’emergenza sono sempre i ragazzi più fragili, più demotivati, più poveri a soffrire di più. Per loro, nessun “ristoro” è previsto. Pertanto no, non va affatto tutto bene. È fondamentale dirlo. Lo dimostrano le mobilitazioni degli studenti di questi ultimi giorni.
Vorremmo allora che di scuola si parlasse, indagando il disagio e la demotivazione che pervadono le aule virtuali. Vorremmo che di scuola si parlasse comprendendo che non è possibile relegare l’istruzione all’ambito dello smart working – come vorrebbe farci credere il Presidente della nostra Regione – perché scuola è soprattutto relazione, vicinanza e costruzione di saperi che sulla relazione e sul confronto trovano la loro ragion d’essere.
Siamo sinceramente spaventati di fronte al senso di disgregazione e scoraggiamento a cui assistiamo ogni giorno entrando nei nostri vari Meet; siamo atterriti quando ascoltiamo i nostri studenti dire “noi siamo sacrificabili”; non possiamo accettare con rassegnazione che si sorvoli sui danni psicologici, cognitivi, relazionali e sociali che questa situazione sta causando a un’intera generazione, già mortificata dalla logica secondo cui se non produci ricchezza diventi automaticamente solo fardello, non indispensabile, dunque perfino “sacrificabile”.
Solo restituendo centralità alla scuola, indipendentemente dalle logiche mercantili di profitto, sarà possibile adottare misure lungimiranti e sensate, al di là del 18 o del 25 gennaio, ben oltre il primo febbraio.
La situazione è grave e si prolungherà ancora per diversi mesi. È ora il momento di pensare a come affrontare non solo questo, ma anche il prossimo anno scolastico; altrimenti ci troveremo ancora una volta ad agire in un’ottica esclusivamente emergenziale e pertanto fallimentare. Al contrario, pianificare interventi strutturali nell’ambito dell’istruzione (recupero di spazi attualmente inutilizzati, riduzione di alunni per classe, assunzioni tempestive di personale, servizi di trasporto adeguati) risolverebbe non solo l’emergenza, ma sarebbe un investimento anche e soprattutto per gli anni a venire, senza ridursi all’acquisto di migliaia di banchi con le rotelle, ora tristemente vuoti.
Non vorremmo che dei futuri fondi europei si riservassero le briciole alla scuola e di contro si investissero montagne di denari per comprare i servizi delle imprese Big Tech, puntando tutto su un processo di digitalizzazione a discapito delle relazioni umane che possono crescere solo in presenza.
La scuola è una delle principali risorse di un Paese; tuttavia, a parte tanti vuoti proclami, da troppo tempo si trova tra gli ultimi punti dell’agenda politica. Ma come è possibile continuare a negare la centralità della formazione e dell’educazione dei giovani? Non è più tempo di essere miopi, perché questa mancanza di cura, che sembra provocare “piccoli” danni oggi, rischia di aprire una voragine domani. E, si sa, un paese che non si cura del futuro, non ha futuro.
Seguono le firme di 53 docenti dell’Istituto