Lettere

Dopo il fallimento del TNP la ribellione antinucleare degli Stati deve ora diventare decisa e radicale imponendo il No First Use

Lettere Un fallimento quasi annunciato. È appena terminata – alle ore 23:30 del fuso orario di New York, 5:30 di quello di Roma- senza nessun documento finale, come nel 2010 e nel […]

Pubblicato circa 2 anni fa

Un fallimento quasi annunciato. È appena terminata – alle ore 23:30 del fuso orario di New York, 5:30 di quello di Roma- senza nessun documento finale, come nel 2010 e nel 2015, la Conferenza di revisione (RevCon) del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, che si tiene ogni cinque anni (NPT sigla in inglese, TNP in italiano). Stavolta l’esito negativo dell’incontro è caratterizzato non dalla questione mediorientale, al centro della RevCon 2015 e della PrepCom 2019, ma da due fattori nuovi.

Il primo è quello all’origine del blocco ufficiale del progetto di 35 pagine preparato dalla presidenza argentina da parte della Russia, cioè la guerra in Ucraina e la tendenza degli Stati occidentali a mettere Putin sul banco degli imputati per l’aggressione a uno Stato sovrano.

Il secondo, su cui ci soffermeremo maggiormente, è lo scontro tra potenze nucleari (NWS) e Stati non nucleari (NNWS), questi ultimi per lo più aggregati nel “percorso umanitario”, sorretto dalla società civile internazionale organizzata nella rete ICAN (Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari).

Questa debacle è una notizia molto inquietante per le speranze di sopravvivenza dell’Umanità, perché il rischio nucleare ignorato e non arginato ha raggiunto livelli altissimi, tanto che, ad esempio, il Doomsday Clock, curato dal Bullettin of the Atomic Scientists, sta segnando 100 secondi dall’Apocalisse (come neanche nel 1983 con il caso del colonnello sovietico Petrov che salvò il mondo da uno scambio nucleare provocato da un falso allarme dei computer)!

Appuntamento con scadenza quinquennale dal 1970 (rinviato al 2022 causa Covid), questo Riesame del TNP (o NPT in inglese), giunto alla decima edizione, svoltosi a New York al Palazzo di Vetro dall’1 al 26 agosto, è stato il primo dopo l’entrata in vigore, nel gennaio 2021, del Trattato di proibizione delle armi nucleari –TPNW (sigla in inglese), espressione della citata “Iniziativa umanitaria”, appoggiata da ICAN. L’incontro è arrivato in un momento drammatico nel contesto della sicurezza globale (si pensi alla guerra in Ucraina), aggravato dal rilancio della corsa agli armamenti nucleari.

Tensioni tra Stati nuclearmente armati – NWS e Stati non nuclearmente armati -NNWS

Il rilancio in atto della corsa agli armamenti nucleari, ed il suo carattere estremamente pericoloso, spiega perché, dopo 50 anni di promesse non mantenute da parte delle potenze nucleari rispetto all’articolo VI del TNP (quello del disarmo da perseguire), lasciato senza attuazione, è esplosa a New York l’insofferenza degli Stati non nucleari NNWS: questo ha contribuito significativamente al non risultato finale (mentre nei riesami precedenti il fallimento era imputabile alla questione israeliana e al rifiuto di Tel Aviv di aderire alla decisione di creare una zona denuclearizzata del Medio Oriente).

La ribellione degli Stati non nucleari, che covava da anni, ha trovato, come si è detto più volte, uno sbocco nel “percorso umanitario” – la presa d’atto della incompatibilità della deterrenza con i principi del diritto umanitario – ed è confluita nel Trattato di proibizione delle armi nucleari – TPNW, che, adottato in una Conferenza ONU del 2017, entrato in vigore nel gennaio 2021, proibisce in modo completo tutte le attività di armi nucleari per tutti gli Stati parti (si badi bene: solo per gli Stati parti), includendo i divieti di test, stoccaggio, minaccia di uso o dispiegamento di armi nucleari sul territorio nazionale.

Da Vienna il TNPW, riunitosi per il suo primo Riesame nel giugno 2022, per il tramite del presidente austriaco Alexander Kmentt, aveva fatto pervenire con nuova forza a New York la richiesta di complementarità tra il nuovo trattato “proibizionista” e il TNP: il nuovo ordine legale nascente cerca il compromesso con il vecchio regime.

Con 86 Stati firmatari e 66 Stati parti ratificanti, il TPNW ha tutto sommato un notevole supporto numerico ma sconta la ovvia non adesione delle potenze nucleari, nonché di tutti gli alleati della NATO e degli alleati degli Stati Uniti in Asia. Alla conferenza di Vienna si è avviato un interessante dialogo tra gli Stati non nucleari e gli Stati della condivisione nucleare NATO (Germania, Olanda, Belgio, non l’Italia), presenti in qualità di “osservatori”.

Possiamo però affermare, alla luce del non risultato di New York, che non c’è stata risposta da parte di tutte le potenze nucleari alle preoccupazioni, ribadite dall’incontro di Vienna di riesame del TPNW, per le conseguenze umanitarie dell’uso di armi nucleari e la mancanza di progressi sul disarmo nucleare.

Ma lo scontro tra Stati nucleari e Stati non nucleari stavolta è stato più duro del solito. Si è arrivati su questo punto, durante i lavori al Palazzo di Vetro, a un atto politico di importanza non trascurabile: la dichiarazione di 145 Stati (Italia come sempre assente), promossa dal Costarica, che partendo dall’impatto umanitario della deterrenza, considerato appunto inaccettabile, è arrivata a sollevare la questione del Non Primo Uso – NFU: “È nell’interesse della sopravvivenza stessa dell’umanità che le armi nucleari non vengano mai più utilizzate, in nessuna circostanza“. (Il documento è reperibile al link: https://reachingcriticalwill.org/images/documents/Disarmament-fora/npt/revcon2022/statements/22Aug_HINW.pdf).

Le potenze nucleari hanno tutte, seppure con declinazioni e accenti diversi, in particolare da parte della Cina, criticato il TPNW per aver ignorato le realtà dell’ambiente di sicurezza internazionale ed evitato, dal loro punto di vista, le sfide pratiche associate al disarmo troppo rapido, comprendenti le annose questioni di verifica sullo smantellamento delle testate. Il dibattito su se e come fare riferimento all’entrata in vigore del TPNW in un documento finale al RevCon ha risentito dell’ostruzionismo manifestato dalle potenze nucleari e – dobbiamo anche dirlo – forse dell’incapacità dei NNWS di lavorare con intelligenza sulle loro divisioni.

ICAN, la rete globale della società civile di circa 600 organizzazioni, insignita nel 2017 del premio Nobel per la pace, che annovera come membri in Italia, tra gli altri, i Disarmisti esigenti, la WILPF, Mondo senza guerre e senza violenza, non li ha affatto incoraggiati e spronati in questa direzione. Nella visione del gruppo dirigente attuale, sembra si coltivi una sorta di autosufficienza del percorso umanitario, cui basterebbe un incremento lineare per ottenere il suo scopo disarmista finale. Attualmente siamo a 66 Stati ratificanti, non resterebbe che lavorare perché diventino 67, poi 68, poi 69, e così via, fino a raggiungere, in questa visione, la totalità degli attori statali, i 193 membri dell’ONU.

Nei comunicati della dirigenza di ICAN appare evidente come il percorso umanitario venga adesso presentato come parallelo e alternativo rispetto a quello del TNP:

Il documento finale del TNP è stato negoziato a porte chiuse senza il contributo della società civile e senza la partecipazione della maggior parte delle parti del trattato. Gli stati dotati di armi nucleari e i loro stati alleati dipendenti dalle armi nucleari (per lo più europei) erano sovrarappresentati e le regioni africane, latinoamericane e di altro tipo sono state messe da parte.
Al contrario, il piano d’azione di Vienna, adottato nel giugno 2022, (al riesame del TPNW – ndr), comprende 50 azioni fondamentali per promuovere il disarmo e portare avanti impegni rivoluzionari per aiutare le vittime dell’uso e dei test di armi nucleari e ripulire l’ambiente. È stato l’incontro più inclusivo di sempre sulle armi nucleari e ha concordato un’azione progressiva su genere e disarm
o”.

Cosa fare adesso adesso di fronte al fallimento sostanziale della Conferenza? Noi, tra i membri italiani di ICAN, riteniamo che in ICAN internazionale sia necessaria

una maturazione strategica della quale, nonostante tutto, degli elementi sono stati comunque anticipati a New York. Si impongono all’organizzazione delle domande di fronte ai bivi che si sono aperti per l’iniziativa politica.

Dobbiamo imboccare questa strada del percorso umanitario come autosufficiente e parallelo in nome di una ribellione oltretutto portata avanti solo a metà nella misura in cui in partenza si rinuncia agli strumenti di pressione più efficaci?

Oppure, nello spirito di non demordere e continuare a lavorare dal basso contro il rischio nucleare (che va presentato e contrastato nel suo intreccio con il rischio climatico ed ecologico), il proibizionismo antinucleare va coniugato con una “riduzione del danno” che guadagni del tempo prezioso per evitare letteralmente la “fine del mondo”?

Aumentare gli Stati ratificanti il TPNW va bene, ma la proibizione giuridica valida per alcuni onde possa diventare eliminazione degli ordigni per tutti ha bisogno, da parte di ICAN, di una strategia più complessiva e complessa, che rompa il fronte nuclearista non su questioni di potenza, ad esempio facendo leva sulla diversità cinese, e faccia emergere un minimo comune denominatore che porti a risultati concreti nel senso di indebolire e possibilmente togliere i presupposti tecnico-fattuali di una guerra nucleare per incidente o per errore. L’articolo VI va implementato attraverso il passo del No First Use – NFU che deve condurre ad accordi sulla “deallertizzazione dei missili” con la separazione fisica delle testate dai vettori.

E da parte degli Stati non nucleari, visto che si è manifestata questa volontà di ribellione ad un ordine giuridico ormai non più condiviso, va finalmente preso in considerazione, nella cassetta degli attrezzi diplomatici cui fare ricorso, l’analogo dello sciopero quando si aprono le vertenze sindacali: la sospensione dell’adesione al TNP.

Ecco l’idea che circola tra gli Stati non nucleari più combattivi e la questione che, come antinucleari italiani, poniamo sul tappeto della riflessione collettiva del movimento. In virtù dei solenni impegni presi a New York possiamo chiederci e chiedere cosa aspettano i 145 Stati che hanno sottoscritto la dichiarazione del Costarica (o almeno i 66 della Dichiarazione di Vienna) a fare un discorso chiaro alle potenze nucleari?

“Cari P5, mettetevi d’accordo subito sul No first use. E questo deve significare la deallertizzazione immediata delle testate. Creare in questo e in qualche modo le condizioni tecniche per evitare almeno la guerra nucleare per errore significa anche che tutti i vostri piani di ammodernamento vanno bloccati. Non si deve spendere un solo centesimo per nuove armi nucleari e per l’inserimento della deterrenza in ambienti di intelligenza artificiale. O adottate subito queste decisioni e siete ad esse conseguenti oppure prendiamo atto che il monopolio legale delle armi nucleari che vi siete garantiti con il TNP è solo un grosso imbroglio. E noi non continueremo a tenere il sacco a questa violazione del diritto internazionale. O cominciate a porre rimedio o facciamo saltare il banco che si disvela gestito da bari. Per l’intanto vi annunciamo che sospendiamo la nostra adesione al TNP, nell’attesa che vi diate una smossa. Nel vostro stesso interesse, perché le prime vittime di una guerra nucleare sareste proprio voi”.

 

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Alfonso Navarra – Disarmisti esigenti
Antonia Sani – Coordinamento antinucleare europeo