La mafia e lo stato
Lettere Poche settimane fa il Procuratore Nazionale Antimafia nella sua relazione annuale sulla criminalità organizzata e sul terrorismo (qui il pdf) ha puntualizzato alcuni aspetti che in pochi hanno letto e […]
Poche settimane fa il Procuratore Nazionale Antimafia nella sua relazione annuale sulla criminalità organizzata e sul terrorismo (qui il pdf) ha puntualizzato alcuni aspetti che in pochi hanno letto e in pochissimi hanno visto in tv e nei telegiornali.
A tal proposito, come presidente dell’Osservatorio Regionale Antimafia del Molise, vorrei tornare sull’argomento. Franco Roberti ha detto, senza mezzi termini, che la mafia ormai si è infiltrata in tutti i gangli vitali dello Stato italiano.
Tutte le amministrazioni pubbliche, da nord a sud, non sono immuni dal rischio d’infiltrazione. La ’ndrangheta ormai è presente in tutta la penisola e la gran parte dei Comuni è alla mercé delle mafie. Tutto ciò che è pubblico, dagli appalti, ai bandi, alle sovvenzioni, alle concessioni è in maniera diretta o indiretta condizionato dalla criminalità organizzata. Le mafie ormai hanno legami stretti con le massonerie, con i servizi segreti, con la politica nazionale e locale.
In conferenza stampa con i giornalisti, il procuratore Roberti ha affermato che non c’è più nessun territorio in Italia che non sia infiltrato dalle mafie. Ha parlato anche di territori ad alto rischio quali la Puglia e le regioni a essa limitrofe (quali ad esempio il Molise).
Se così fosse, e non ho ragione di mettere in dubbio le parole del Procuratore Nazionale Antimafia, questo significa solo una cosa: la resa incondizionata dello Stato.
Come mai c’è questa sconfitta?
In primis perché non sono mai stati adottati gli strumenti necessari per far fronte a questa emergenza e ritengo che non si vogliano neanche adottare. Mancano le persone, gli apparati, le leggi, sembra quasi che tutti si siano rassegnati a convivere con la malattia e pur sapendo che potremmo sconfiggerla ci lasciamo morire abbandonandoci alla stessa. A questo punto non riesco più a comprendere se questo stato di cose stia bene anche a tanti italiani.
Di una cosa però sono certo: a me non sta per niente bene! Di questa situazione a dir poco catastrofica, la cosa che più mi meraviglia e che se n’è parlato poco o nulla. I giornalisti che parlano di questi temi ormai si contano sulle dita delle mani e far pubblicare notizie di questa tipologia nei giornali italiani diventa un’impresa titanica.
La forza delle mafie nel frattempo aumenta soprattutto dove lo Stato non è presente. Più aumenta il disagio sociale, più le mafie acquistano consenso. Mafiosi, criminali, politici, imprenditori e amministratori pubblici in molti casi trovano accordi convenienti per tutti pur di non pestarsi i piedi. F
ar emergere queste collusioni è compito dei cittadini ma soprattutto dei giornalisti liberi che dovrebbero essere uno degli antidoti più potenti per il veleno mafioso.
A proposito di lotta alle mafie, non dimentichiamoci il monito di Paolo Borsellino: «Se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo».
Allo stesso tempo non bisogna mai dimenticare neanche il fatto che in 58 giorni la mafia ha eliminato i suoi più irriducibili nemici, senza che nessuno si sia opposto, senza che nessuno abbia tentato di evitarlo. È da qui che lo Stato deve ripartire se vuole recuperare la sua credibilità ormai inesorabilmente persa.
Vincenzo Musacchio, Presidente Osservatorio Regionale Antimafia del Molise