Lettere

La mozione di alcuni senatori per opporsi all’inserimento di gas e nucleare nella Tassonomia

Lettere LA MURA, DE PETRIS, NUGNES, MORONESE, MANTERO, LEZZI, MORRA, LANNUTTI, ABATE, GRANATO, GIANNUZZI, BOTTO, ANGRISANI, CORRADO, FATTORI, SBRANA, MININNO, CROATTI, ORTIS Il Senato, premesso che: nel Green Deal la Commissione […]

Pubblicato quasi 3 anni fa

LA MURA, DE PETRIS, NUGNES, MORONESE, MANTERO, LEZZI, MORRA, LANNUTTI, ABATE, GRANATO, GIANNUZZI, BOTTO, ANGRISANI, CORRADO, FATTORI, SBRANA, MININNO, CROATTI, ORTIS

Il Senato, premesso che:

nel Green Deal la Commissione europea ha evidenziato la necessità di istituire un sistema unificato, a livello dell’UE, di classificazione delle attività sostenibili, con lo scopo di garantire una comprensione condivisa e olistica dell’ecosostenibilità delle attività e degli investimenti, nonché di creare norme e marchi per i prodotti finanziari sostenibili;

nel 2020 il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato il Regolamento (UE) 2020/852 (di seguito anche regolamento “Tassonomia”), che rappresenta uno strumento fondamentale ai fini dell’individuazione delle attività ecosostenibili e per la qualificazione dei relativi investimenti in termini di ecosostenibilità, nell’ottica di contrastare il fenomeno del greenwashing e indirizzare i flussi di capitale verso attività green;

l’art. 3 del regolamento stabilisce che un’attività economica è considerata ecosostenibile se sono soddisfatte le seguenti condizioni: contribuisce in modo sostanziale al raggiungimento di uno o più degli obiettivi ambientali indicati dall’art. 9 (mitigazione dei cambiamenti climatici, adattamento ai cambiamenti climatici, uso sostenibile e la protezione delle acque e delle risorse marine, transizione verso un’economia circolare, prevenzione e riduzione dell’inquinamento, protezione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi); non arreca un danno significativo a nessuno dei predetti obiettivi ambientali (principio del “do no significant harm”); è svolta nel rispetto delle garanzie minime di salvaguardia previste all’articolo 18; è conforme ai criteri di vaglio tecnico fissati dalla Commissione europea;

l’art. 19 fissa i requisiti per i criteri di vaglio tecnico, tra i quali compare quello che impone che gli stessi si basino su prove scientifiche irrefutabili e sul principio di precauzione sancito dall’articolo 191 TFUE (art. 19, paragrafo 1, lett. f)). Il principio di precauzione è un approccio alla gestione del rischio in virtù del quale, nell’ipotesi in cui una determinata politica o azione possa arrecare danno

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ai cittadini o all’ambiente e non vi sia ancora un consenso scientifico sulla questione, la politica o l’azione in questione non dovrebbe essere perseguita;

nel mese di aprile 2021 la Commissione UE ha pubblicato un pacchetto di misure, comprensivo anche dell’atto delegato relativo agli aspetti climatici della tassonomia europea. Nella comunicazione (COM (2021) 188 final ) del 21 aprile 2021 la Commissione ha anticipato l’adozione di un atto delegato complementare relativo al gas naturale e all’energia nucleare;

con riferimento all’energia nucleare occorre precisare che nel marzo 2021 il Joint Research Centre (JRC), incaricato di verificare l’impatto della produzione di energia nucleare sugli altri obiettivi ambientali, secondo il principio “non arrecare un danno significativo”, aveva pubblicato una relazione in cui si evidenziava che dalle analisi non era emersa alcuna evidenza scientifica comprovante che l’energia nucleare arrechi un danno maggiore alla salute dell’uomo o all’ambiente rispetto alle altre tecnologie per la produzione di energia elettrica già incluse nella tassonomia in quanto attività che sostengono la mitigazione dei cambiamenti climatici;

tale relazione è stata successivamente sottoposta all’esame di altri due gruppi di esperti, quello di cui all’art. 31 del trattato Euratom e il Comitato scientifico dei rischi sanitari, ambientali ed emergenti;

il Comitato ha formulato una serie di rilievi critici circa l’inclusione del nucleare nella tassonomia. Più nel dettaglio, esso ha rilevato che «ci sono diversi risultati in cui il rapporto è incompleto e richiede di essere rafforzato con ulteriori prove o con considerazioni approfondite.», e che in molti casi la valutazione degli impatti è stata fatta per comparazione ad altre tecnologie, modalità insufficiente ad assicurare l’assenza di danni significativi;

inoltre, in merito all’inquinamento, il Comitato ha osservato che il numero degli studi richiamati a supporto della valutazione è inadeguato a comprovare le conclusioni, e in merito al rischio di incidenti gravi, che gli stessi rimarranno indipendentemente dall’incidenza delle garanzie regolamentari per attuare misure di prevenzione e che i rischi dovuti agli incidenti nucleari permangono indipendentemente dalle misure di mitigazione. Infine, quanto allo stoccaggio a lungo termine dei rifiuti radioattivi, il Comitato ha rilevato che resta una questione aperta con notevoli incertezze;

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si è aperto un acceso dibattito tra gli Stati membri e nell’ambito della comunità scientifica in merito alla possibilità di includere l’energia nucleare nella tassonomia;

nei primi giorni di dicembre 2021 è stato pubblicato il Regolamento delegato (UE) 2021/2139 che integra il regolamento sulla tassonomia, e che fissa i criteri di vaglio tecnico che consentono di determinare a quali condizioni si possa considerare che un’attività economica contribuisce in modo sostanziale alla mitigazione dei cambiamenti climatici o all’adattamento ai cambiamenti climatici e se non arreca un danno significativo a nessun altro obiettivo ambientale. Il regolamento non include nella tassonomia il gas naturale e l’energia nucleare;

tuttavia, il 31 dicembre 2021 la Commissione ha pubblicato una bozza di atto delegato secondo la quale i progetti nucleari con permesso di costruzione rilasciato entro il 2045 sarebbero idonei ad attrarre investimenti privati purché in grado di prevedere piani per la gestione delle scorie radioattive e per il decommissioning delle centrali nucleari. Allo stesso tempo, sarebbero ammissibili anche i progetti sul gas con autorizzazioni rilasciate entro il 2030, purché soddisfino una serie di condizioni, come emissioni inferiori a 270 grammi di CO2 equivalente per kWh;

la bozza è stata inviata agli Stati membri e agli esperti della Piattaforma sulla finanza sostenibile per acquisire contributi entro il termine del 12 gennaio 2022, poi posticipato al 21 gennaio;

in data 21 gennaio 2022 la Piattaforma sulla finanza sostenibile ha pubblicato il documento “Response to the Complementary Delegated Act”, in cui si evidenzia che il nucleare non rispetta il principio “do no significant harm”, e, quindi, deve essere escluso dalle tecnologie green. Inoltre, secondo la Piattaforma, il gas potrebbe rientrarvi solo se rispettasse il criterio dei 100 gr di CO2 al KWh e non quello dei 270 gr, come proposto nella bozza della Commissione;

preoccupa la dichiarazione rilasciata in un’intervista al Frankfurter Allgemeine Zeitung dalla Commissaria responsabile del dossier, Mairead McGuinness, secondo la quale la Commissione europea adotterà il 2 febbraio 2022 il regolamento che include gas e nucleare nella tassonomia, e sono possibili solo “piccole modifiche” rispetto alla bozza del 31 dicembre 2021;

la Germania, l’Austria, la Spagna, la Danimarca e il Lussemburgo si sono espressi in senso nettamente contrario all’inclusione del nucleare e del gas nella tassonomia, e alcuni di essi hanno

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minacciato di ricorrere alla Corte di giustizia. Altri Paesi, tra cui la Francia, sono, invece, favorevoli a tale inclusione;

considerato che il nostro Paese, almeno fino ad oggi, non ha espresso una decisa opposizione all’inserimento del gas naturale e del nucleare nella tassonomia. Questa posizione è particolarmente grave, considerati gli esiti dei referendum sulla produzione di energia nucleare, i rischi connessi a tale produzione, i tempi e i costi di gestione dei rifiuti radioattivi che si trovano sul nostro territorio;

inoltre, nel quotidiano online “IlFattoQuotidiano.it” del 25 gennaio 2022 è riportata la notizia che il Governo italiano ha valutato troppo bassi i limiti stabiliti dalla bozza del 31 dicembre 2021 per qualificare come green gli impianti che producono gas. Si legge che «Secondo l’Italia la soglia di emissione di Co2/kWh dovrebbe essere alzata a 340 grammi, oppure si dovrebbe consentire di mantenere una media annuale di 750 chilogrammi di Co2/kWh calcolata su vent’anni»;

la produzione di energia nucleare è stata oggetto di due referendum abrogativi, nel 1987 e nel 2011, attraverso i quali i cittadini hanno espresso chiaramente la volontà di non produrre energia nucleare. Sotto il profilo formale, si ricorda che il referendum abrogativo è considerato un «atto- fonte dell’ordinamento dello stesso rango della legge ordinaria» (Corte costituzionale 3 febbraio 1987 n. 29) e il suo esito è rinforzato dal divieto (ricavato dall’articolo 75 della Costituzione) di ripristino delle norme abrogate a seguito di un’iniziativa referendaria (Corte costituzionale 17 luglio 2012 n. 199);

oltre che in ragione dei citati esiti referendari, il nostro Paese dovrebbe osteggiare ogni iniziativa tesa a sostenere la produzione di energia nucleare per i gravissimi rischi per l’ambiente e la salute connessi alla produzione dell’energia nucleare. Sarebbe sufficiente ricordare l’incidente avvenuto a Chernobyl per comprendere quanto sia pericoloso produrre energia nucleare, e anche laddove non si volesse considerare questa catastrofe, basterebbe considerare tutte le questioni attinenti alla gestione dei rifiuti radioattivi;

l’Italia ha prodotto energia nucleare per poco tempo, eppure l’attività di decommissioning e la gestione dei rifiuti radioattivi non si sono ancora concluse;

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secondo gli ultimi dati disponibili (riferiti a dicembre 2019), in Italia ci sono 31mila metri cubi di rifiuti radioattivi collocati in 24 impianti distribuiti su 16 siti in 8 Regioni. Si tratta di impianti e siti di stoccaggio provvisori a cui si è fatto ricorso per necessità, ma che sono assolutamente inidonei a mantenere in sicurezza materiali radioattivi. Si consideri, ad esempio, il caso di Saluggia dove in un punto a ridosso della Dora Baltea ed a soli tre chilometri dalla confluenza con il Po, sono collocati tre impianti diversi (Eurex, LivaNova ed il deposito Avogadro), esposti a rischio di inondazioni, e in cui sono stoccati i rifiuti con la carica radioattiva più elevata;

più nel dettaglio, dei 31.000 metri cubi di materiali presenti in Italia, circa 14.000 sono classificati ad “attività molto bassa”, 12.500 di “bassa attività”, 3.000 a “media attività” e 1.400 a “vita molto breve”. A questi numeri, però, occorrerà aggiungere i rifiuti radioattivi ad alta attività che torneranno in Italia dopo il ritrattamento all’estero del combustibile esausto proveniente dagli ex impianti nucleari italiani, e quelli di media attività che si verranno a generare dalle attività di smantellamento degli impianti nucleari italiani dismessi nel nostro Paese;

sul territorio nazionale ci sono anche elementi di combustibile radioattivo di provenienza extranazionale. Infatti, nell’impianto ITREC tra il 1968 e il 1970 sono stati trasferiti 84 elementi di combustibile irraggiato uranio-torio provenienti dal reattore sperimentale Elk River (Minnesota). In seguito, sono state condotte ricerche sui processi di ritrattamento e ri-fabbricazione del ciclo uranio-torio per verificare l’eventuale convenienza tecnico-economica rispetto al ciclo del combustibile uranio-plutonio normalmente impiegato. Dello smaltimento dei relativi rifiuti radioattivi si dovrà fare carico l’Italia, salvo che sia concordato il trasferimento negli USA;

in Italia è prevista la realizzazione di un deposito nazionale per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi a molto bassa e bassa attività e per lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi a media e alta attività, che dovranno essere successivamente trasferiti in un deposito geologico idoneo alla loro sistemazione definitiva. L’investimento complessivo di circa 900 milioni di euro per la realizzazione del Deposito Nazionale e del Parco Tecnologico sarà finanziato dalla componente tariffaria A2RIM (ex componente A2) della bolletta elettrica, che già oggi copre i costi dello smantellamento degli impianti nucleari;

si stima che ad oggi il prelievo sulla bolletta elettrica per la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi e di smantellamento delle centrali nucleari ammonta a 4 miliardi di euro;

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quanto allo stato della procedura inerente alla realizzazione del Deposito nazionale, si evidenzia che in data 14 gennaio 2022 si è conclusa la seconda fase di invio delle osservazioni e proposte tecniche nell’ambito della consultazione pubblica sulla localizzazione dello stesso e del Parco Tecnologico (DNPT);

occorre realizzare quanto prima il Deposito nazionale per assicurare la gestione in sicurezza dei rifiuti radioattivi e completare tempestivamente le attività di decommissioning. Tanto si evince anche dalla “Relazione sulla gestione dei rifiuti radioattivi in Italia e sulle attività connesse” (Doc. XXIII, n. 9) del 30 marzo 2021 della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, che ha rilevato gravi ritardi sia nell’iter per la costruzione del deposito che nelle attività di decommissioning degli impianti;

nella relazione si legge che «È certamente nota, soprattutto a chi si occupa della gestione dei rifiuti radioattivi e della disattivazione degli impianti, l’esigenza prioritaria di dar corso quanto prima alla realizzazione del Deposito nazionale per lo stoccaggio temporaneo del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi a media e alta attività, nonché per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi a molto bassa e bassa attività»;

come emerge da quanto sopra riportato non vi è alcuna convenienza economica, né in termini di tutela dell’ambiente e della salute a sostenere investimenti e più in generale iniziative a favore della produzione di energia nucleare;

considerato, inoltre, che l’inclusione del gas e del nucleare nell’ambito della tassonomia confliggono con il principio “non arrecare un danno significativo”, oltre che con quanto stabilito dall’art. 19 del regolamento sulla tassonomia, ai sensi del quale, come anticipato, i criteri di vaglio tecnico devono basarsi su prove scientifiche irrefutabili e rispettare il principio di precauzione;

tale inclusione pregiudica completamente il sistema originariamente concepito dall’UE per orientare gli investimenti verso attività e progetti green nell’ottica di conseguire gli obiettivi europei di decarbonizzazione. Infatti, qualificare la produzione di energia nucleare e il ricorso al gas naturale come attività ecosostenibili, comporta il rischio di sottrarre risorse ad attività e progetti effettivamente “puliti” per destinarli ad attività che sono inquinanti, e, nel caso del nucleare, addirittura pericolose;

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inoltre, qualora la bozza del 31 dicembre fosse confermata, la tassonomia da strumento di contrasto al greenwashing si trasformerebbe in strumento di attuazione del greenwashing, perché consentirebbe di considerare ecosostenibili attività che non lo sono, rendendo assolutamente fittizia la trasparenza delle informazioni a disposizione degli investitori;

in una lettera aperta del 12 gennaio l’Institutional Investors Group on Climate Change (Iigc) ha invitato la Commissione a non includere il gas naturale nella lista degli investimenti ecosostenibili, per non compromettere il ruolo dell’Unione come leader nella finanza sostenibile;

la qualificazione della produzione di energia nucleare e il ricorso al gas come attività green non appare in linea con la necessità impellente di tutelare gli ecosistemi naturali, come descritta nella Strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030 e neppure con il concetto di One Health pure sostenuto dall’UE;

impegna il Governo:

1) a manifestare nettamente il proprio dissenso all’inclusione dell’energia nucleare e del gas naturale nella tassonomia, e ad assumere ogni iniziativa utile affinchè siano esclusi dalla stessa;

2) in ossequio agli esiti dei referendum abrogativi del 1987 e del 2011, ad astenersi da ogni iniziativa volta a consentire nuovamente lo sfruttamento e l’impiego dell’energia nucleare in Italia, e, quindi, anche ad escludere che nel Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) in fase di revisione siano contemplate tali attività;

3) a garantire che l’iter di realizzazione del Deposito nazionale e del Parco Tecnologico si concluda rapidamente, sempre nel rispetto delle esigenze di partecipazione, e che le attività di decommissioning degli impianti non subiscano ulteriori ritardi, con addebito dei relativi costi sui cittadini;

4) ad aprire un confronto con gli USA al fine di stabilire che gli 84 elementi di combustibile irraggiato uranio-torio, 20 dei quali sono stati ritrattati, provenienti dalla centrale nucleare americana di Elk River, presenti presso l’ITREC, tornino negli USA.