Moby Prince. A 30 anni dalla strage, lottare insieme per verità, giustizia, salute e sicurezza
Lettere A trenta anni dalla strage del traghetto Moby Prince del 10 aprile 1991 in cui furono uccise 140 persone, passeggeri e membri dell’equipaggio, la Federazione Anarchica Livornese e il Collettivo […]
A trenta anni dalla strage del traghetto Moby Prince del 10 aprile 1991 in cui furono uccise 140 persone, passeggeri e membri dell’equipaggio, la Federazione Anarchica Livornese e il Collettivo Anarchico Libertario tornano ad esprimere la propria vicinanza ai familiari delle vittime, da lungo tempo impegnati nella battaglia per la verità e la giustizia. Anche tra noi c’è chi ha perso una persona nella strage, conosciamo la durezza e l’importanza dell’insostituibile attività di ricerca, memoria e lotta condotta in questi trenta anni. L’impegno dei familiari ha permesso in questi anni che la verità si affermasse a livello collettivo, nella società, dissipando gli strati di menzogne costruiti sulla vicenda, ricordando sempre le responsabilità dell’armatore della Navarma Onorato, che faceva viaggiare un traghetto senza le minime condizioni di sicurezza, e della Capitaneria di Porto di Livorno, comandata da Albanese, che non ha soccorso chi si trovava sul Moby Prince avvolto dalle fiamme.
Il Moby Prince non doveva viaggiare. Il traghetto aveva l’impianto antincendio sprinkler disattivato, due radar non funzionanti su tre, aveva malfunzionamenti alla radio legati a cali di frequenza, inoltre il traghetto viaggiava con il portellone di prua aperto, circostanza che avrebbe facilitato la propagazione delle fiamme e dei fumi all’interno del garage del traghetto dopo la collisione con la petroliera Agip Abruzzo.
Come a Viareggio, a Pioltello, ad Andria, come nella strage alla Thyssen di Torino, anche a Livorno nella strage Moby Prince le responsabilità sono chiare. Ad uccidere 140 persone sono stati armatori e manager che per avere maggiori profitti e premi hanno risparmiato sulla sicurezza, sono state le autorità che prima hanno concesso il certificato di navigazione al traghetto, poi non hanno soccorso chi si trovava sulla nave, e infine hanno coperto le responsabilità degli armatori. L’impegno costante dei familiari delle vittime del Moby Prince ci mostra allora quanto sia importante la lotta delle lavoratrici e dei lavoratori per la salute e la sicurezza, ad ogni livello, anche su una sola postazione di lavoro, su un solo mezzo.
Coperture, manomissioni, depistaggi, minacce. Le storie cambiano ma i metodi utilizzati dai potenti per nascondere le proprie responsabilità sono molto simili. Basti ricordare come nel 2014 per la strage della Norman Atlantic, traghetto della ANEK Lines a bordo del quale scoppiò un incendio mentre attraversava il Canale d’Otranto, si tentò di addossare la responsabilità ai migranti che viaggiavano clandestinamente sulla nave, alcuni dei quali rimasero uccisi nel disastro.
In questi anni la verità è emersa grazie alla tenacia dei familiari delle vittime, che hanno condotto la propria lotta riuscendo a muovere anche un’ampia solidarietà nei momenti cruciali, costruendo legami con realtà di base, facendo fronte comune con chi a Viareggio o in altre città come a Casale Monferrato, a L’Aquila stava portando avanti una simile battaglia. È grazie a questa pressione dal basso se la Commissione d’inchiesta del Senato sulla vicenda del Moby Prince, tra 2015 e 2019 ha ufficializzato molte delle questioni che venivano sollevate dai familiari, fornendo anche nuovi importanti elementi.
Ma nonostante i nuovi elementi, a dicembre 2020, il Tribunale di Firenze ha respinto la causa civile promossa dai familiari delle vittime del Moby Prince, che chiedevano, accusando lo Stato, di vedere riconosciuta la responsabilità della Capitaneria di Porto per non aver garantito la sicurezza della navigazione nella rada del porto di Livorno e per non aver non aver portato i soccorsi al traghetto. Come avvenuto per la strage di Viareggio a gennaio 2021 e in molti altri casi simili, la magistratura ha scelto di proteggere padroni e istituzioni.
Oggi si prepara una nuova Commissione d’inchiesta alla Camera sulla vicenda del Moby Prince. I presupposti non lasciano presagire che questa nuova commissione possa portare qualche passo più avanti rispetto a quella del 2015 al Senato, anche perché questa nuova commissione non presenta al momento novità rilevanti rispetto alla precedente, e la magistratura ha già dimostrato con la sentenza di Firenze di non voler riaprire il caso. Ad ogni modo anche in questo caso sarà la pressione della lotta e della solidarietà a far emergere eventuali nuovi elementi.
Sta alle forze di base, sui posti di lavoro come in altri ambiti, rilanciare la lotta per la sicurezza e la salute, contro l’arroganza del potere. Ora più che mai la lotta per la sicurezza e la salute di lavoratrici e lavoratori è fondamentale. Ora che i posti di lavoro sono i principali luoghi di contagio. Ora che, con la miseria e la disoccupazione in crescita, governo e padroni spingono con il ricatto a lavorare a condizioni sempre peggiori. Ora che non solo in Italia vengono limitati con provvedimenti autoritari la libertà di sciopero e di manifestazione, mentre i lavoratori impegnati per la sicurezza sono vessati, come nel caso dei 6 Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza di Trenitalia costretti a pagare 80000 euro di spese legali dopo la sentenza di Cassazione dello scorso gennaio per il processo sulla strage di Viareggio.
È importante anche per questo sostenere la lotta dei familiari delle vittime ancora di più in questo momento. Ma la lotta per la giustizia non può pesare solo sulle loro spalle, perché la lotta per la sicurezza e la salute, la lotta contro l’arroganza del potere ci riguarda tutt*.