Lettere

Nuovi linguaggi in campo. Ma non è l’anno zero

Lettere Gentile Marco Revelli, ho letto, sul manifesto del 13 dicembre scorso il tuo «L’urlo del No e il suo valore costituente». Condivido tutto e quel «richiederà soprattutto la necessità di […]

Pubblicato quasi 8 anni fa

Gentile Marco Revelli, ho letto, sul manifesto del 13 dicembre scorso il tuo «L’urlo del No e il suo valore costituente». Condivido tutto e quel «richiederà soprattutto la necessità di assumere una logica ’da anno zero’. Nuovi linguaggi, nuove pratiche. Il campo è aperto, chi avrà il coraggio di incominciare a esplorarlo sarà premiato».

Anno zero, però, non lo direi. Penso ai referendum del 12 e 13 giugno 2011 in difesa dei servizi pubblici locali a partire dall’acqua, in difesa, nella sostanza delle Autonomie Locali (art. 5 Cost.).

Ricordo studiosi ripetere che per il francese l’identità più forte è «La Republique», per il tedesco «la legge», per l’italiano«il Comune». Non so quante volte in questi ultimi 20 anni, via via che emergevano scandali su scandali, lavorando nei Comuni capivo immediatamente lo stretto rapporto tra questi Comuni sempre più svuotati, loro cittadini sempre più privi di rappresentanza, e, in alto, politici che non rappresentano altri di loro stessi. Scelti, da ultimo, purché ricchi, perfino meno ricchi ma spregiudicati.

Non mi pare normale la prassi, avviata fin dagli anni ’90, dai Comuni, fino allo Stato, della gestione dei servizi di interesse generale, tramite Spa e Srl. Con il cittadino che si trova dall’oggi al domani, da «sovrano» a «cliente». E tale nientemeno di chi ha eletto. Per non parlare della dottrina e della giurisprudenza via via sorte per difendere queste partecipate Spa e Srl.

Ipocrisia al punto palese che continuo a chiedermi come sia possibile dei tanti, anche della sinistra radicale, che convivono con queste partecipate spa e srl non altro che il peggio del pubblico – sono conciliabili concorrenza con “pubblici uffici … organizzati secondo disposizioni di legge, … il buon andamento e l’imparzialità”? (art. 97 Cost.) – e il peggio del privato – fare concorrenza accaparrando, monopoli naturali e i servizi di interesse generale? -. E riottosi a tornare ad Aziende speciali questa volta però con forme di partecipazione diretta reali. O smart city non per fare immagine, ma vera partecipazione comunitaria.

Ricordo una tua videoconferenza in una città a me vicina. Ero presente. Con te che ti esprimevi con la tua solita passione e chiarezza. Ma io ero circondato da conoscenti e amici che convivono in questo Comune, con 8 partecipate spa e srl. E una di esse che fa utili, pareggia i bilanci, tiene bassa la pressione tributaria dei propri cittadini, sui rifiuti dei Comuni conferenti. Città trasformata, ho scritto, in nuovo feudo e Comuni conferenti in vassalli.
L’altro giorno ho cercato e non trovato dal sito di Infratel Spa, del Ministero dello Sviluppo Economico, il bando per la Banda ultralarga nelle aree a fallimento di mercato. Per l’accesso dovevo risultare impresa (sic!). Bando di 1,25 miliardi di € che interessa anche le mie Marche e i suoi piccoli Comuni, dove abito.

Da qui la mia condivisione alla proposta lanciata da Attac Italia: «Riprendiamoci il Comune». È poco? È tanto? Pur dopo aver lavorato di recente 4 anni al Governo, pare ancora basilare.

Luigi Meconi

La risposta di Marco Revelli

Hai proprio ragione, caro Luigi, quando riprendi e rilanci la proposta di Attac «Riprendiamoci il Comune».

Non solo perché i grandi Comuni, quelli metropolitani, rischiano davvero una degenerazione per certi versi catastrofica (come dimostrano le notizie da Milano e da Roma), ricondotti a logiche politiciste e nazionali; ma perché anche gli altri, quelli di medie dimensioni e quelli piccoli o piccolissimi, se lasciati alle derive inerti provenienti dall’alto, dalla legislazione e dai governi centrali, e dal basso, imposte dalle regole avare del conto economico, rischiano l’impotenza. O la subalternità a logiche che contraddicono alla radice valori e virtù del municipalismo democratico, come quelle che dominano il “mercato” delle partecipate.

Il mandato esplicito, per molti versi “costituente”, del referendum del 2011, straordinaria prova di dignità popolare e di rivendicata sovranità, è stato ignorato e tradito da una classe politica irresponsabile e autoreferenziale, incapace di leggere e comprendere la società su cui domina e che crede di poter dominare impunemente. Ricuperare lo spirito di quel Referendum, rinforzato e rinvigorito dall’ esito di quello attuale, è la condizione per ribaltare una deriva che altrimenti non lascerebbe speranze, nella sua distruttività.

Riprenderci il Comune, e con questo il controllo sulla nostra vita pubblica è un programma di eccezionale attualità.

Marco Revelli