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“Per quanto tempo ancora?”, chiedono gli attivisti pro Assange riunitisi a Roma e a Genova

Lettere Due sit-in hanno segnato il 1460° giorno di prigionia – in isolamento totale e sempre senza processo – del giornalista e editore di WikiLeaks.  È ormai allo stremo? A mantenere […]

Pubblicato più di un anno fa
Due sit-in hanno segnato il 1460° giorno di prigionia – in isolamento totale e sempre senza processo – del giornalista e editore di WikiLeaks.  È ormai allo stremo?
A mantenere alta l’attenzione sul caso Assange ieri 11 aprile – il quarto anniversario dell’arresto del giornalista australiano e del suo imprigionamento in un carcere di massima sicurezza a Londra – sono stati due sit-in molto partecipati, indetti dal gruppo FREE ASSANGE Italia: dalle 15 alle 18 a Roma, in piazza della Repubblica e dalle 11 alle 18 a Genova, in piazza de Ferrari.
A Roma, un enorme striscione tenuto da sei attivisti chiedeva al flusso interrotto di macchine che attraversava il punto nevralgico capitolino: “Carcere duro alla libertà di informazione? Free Assange!”. Contemporaneamente, circa ottanta partecipanti in piazza ascoltavano i discorsi di Marianella Diaz e di Paolo Capezzali (per FREE ASSANGE Italia), dell’ex senatore Vincenzo Vita (garante, Articolo 21), dell’ex Senatore Nicola Morra, dell’ex Senatrice Barbara Lezzi, dell’ex Deputato Marco Rizzo (presidente, Partito Comunista) e dei giornalisti Franco Fracassi e Fulvio Grimaldi.  Tantissimi, poi, gli interventi spontanei dal pubblico.
Sul pavimento davanti alla Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, edificio risistemato nel 1562 da Michelangelo Buonarroti sulle rovine delle antiche Terme di Diocleziano, gli attivisti avevano disegnato, con larghe strisce di nastro adesivo, un rettangolo 3 metri per due per ricordare ai passanti le dimensioni dell’angusta cella di isolamento in cui viene rinchiuso Julian Assange 23 ore su 24, ormai da 1460 giorni.
Il rigore del trattamento riservato a Julian Assange nella prigione di Belmarsh, poi, rischia di far deteriorare le sue condizioni di salute, fisiche e mentali?  Ne è convinta la responsabile per le campagne di Reporters Sans Frontières, Rebecca Vincent, la quale, accompagnata dal segretario generale di RSF Christophe Deloire, lo scorso 4 aprile ha provato a fare visita in carcere ad Assange per verificare, appunto, le sue condizioni.
Sarebbe stata la prima visita a Julian da parte di una ONG da quando egli è incarcerato. Ma malgrado il fatto che i due rappresentanti di RSF avessero ottenuto tutti i permessi immaginabili, giunti a Belmarsh è stato impedito loro di entrare. Il motivo?  “Hanno scoperto all’ultimo momento – ha raccontato poi Deloire – che sono… un giornalista!”
Da non credere: le autorità britanniche hanno gettato la maschera e hanno ammesso ciò che temono di più, la libertà di informazione.  E così hanno rivelato il vero scopo della loro persecuzione giudiziaria di Julian Assange: impedirgli di esercitare quella libertà, sia nel Regno Unito sia negli Stati Uniti, dove Julian potrebbe essere estradato per finire in una prigione di massima sicurezza a stelle e strisce per 175 anni.  In pratica, i due paesi anglosassoni vogliono tenere Julian imbavagliato per il resto della sua vita.  E chissà quanto ne rimane, in quelle condizioni di stress fisico e mentale.
“L’accanimento giudiziario dei governi statunitense e britannico nei confronti di Julian, per aver rivelato i loro crimini di guerra,” ha spiegato poi Diaz nel suo discorso di apertura a Roma in piazza della Repubblica, “oltre ad essere crudele, è chiaramente voluto. Serve come ammonimento, come avvertimento mafioso; si colpisce uno per educare tutti gli altri, per dire ai giornalisti in tutto il mondo di desistere dall’indagare sugli altri crimini di guerra e sugli altri atti di corruzione di questi due paesi anglosassoni”.
In concomitanza con il comizio di Roma, a Genova ieri gli attivisti ligure di FREE ASSANGE Italia hanno tenuto un lunghissimo sit-in con la partecipazione di diversi giornalisti, i quali riconoscono in Julian un collega, nonché di molti comitati cittadini e di tantissimi genovesi di tutte le opinioni politiche.  “La causa della libertà di espressione e d’informazione è trasversale a quasi tutte le ideologie, coinvolge la popolazione tutt’intera,” ha spiegato Monica per conto del comitato organizzatore.
Anche nel capoluogo della Liguria, gli attivisti hanno allestito, sul pavimento, una “cella di isolamento” tre metri per due con, dentro, un prigioniero politico vestito di tuta arancione e che portava la maschera di Julian Assange.  Su un cartone piazzato dietro il prigioniero si poteva leggere “Julian Assange, in galera dal 11/4/2019 per aver rivelato i crimini di guerra della Nato” mentre su cartoncini messi sul pavimento, dentro la cella, si leggeva: “Per quanto tempo ancora?”
Già.  Per quanto tempo ancora?