Lettere

Il Libano non sia la nuova Gaza. Bisogna fermare la guerra

Lettere Le azioni di guerra in corso in Libano rischiano di diventare un nuovo, sanguinoso passo di escalation verso una guerra aperta e totale in Medio Oriente. Rete Pace Disarmo chiama alla mobilitazione allargata affinché le istituzioni italiane ed europee si assumano la responsabilità di passi concreti che impediscano l’inizio di una situazione di violenza e carneficina simile a quella in corso a Gaza

Pubblicato 2 mesi fa

Il Libano sta diventando la nuova Gaza, l’ennesimo passo verso l’allargamento della guerra a tutto il Medio Oriente. Dopo i tremendi attentati dei cercapersone e dei walkie-talkie dei giorni scorsi, anche la data scelta per lanciare la nuova offensiva su un Paese sovrano – il giorno di apertura a New York dell’Assemblea generale dell’Onu – è indicativa non solo del disprezzo per le sofferenze verso la popolazione civile, ma anche di ogni norma del diritto internazionale.

Questo nuovo fronte di guerra non vede come attori solo il governo estremista e fondamentalista di Netanyahu e le milizie di Hezbollah, ma anche gli Usa e l’Unione Europea che non hanno voluto adottare sanzioni efficaci verso Israele e attenersi agli obblighi previsti dalle prescrizioni della Corte Internazionale di Giustizia in merito alla potenziale violazione di diversi articoli della Convenzione contro il genocidio.

Proseguire il rifornimento di armamenti verso Israele – nonostante 41 mila morti e il lancio sulla popolazione di Gaza di oltre 80 mila tonnellate di bombe – rappresenta una vera e propria luce verde per la costruzione, “dal Giordano al mare”, della “Grande Israele” in cui i palestinesi sono cancellati e i loro territori confiscati ed annessi. Ciò che sta avvenendo è la negazione nei fatti (e nelle risoluzioni del parlamento israeliano) della politica di “due popoli, due stati”.

Analogamente al popolo palestinese e a quello israeliano, anche quello libanese, dopo aver conosciuto una sanguinosa guerra civile e diverse devastanti occupazioni militari del proprio territorio, ha diritto a vivere in pace ed in sicurezza. Il Libano attraversa da tempo una situazione complicata. Qui hanno trovato rifugio oltre 1 milione di profughi siriani e dal 1948 circa 500mila rifugiati palestinesi cacciati dalle proprie case. La situazione economica è al collasso e il delicato mosaico etnico e plurireligioso rischia di saltare.

Di tutto ha bisogno il Libano fuorché di nuove guerre e nuovi orrori. Il fatto che Israele e Iran considerino il Libano alla stregua di un loro campo di battaglia deve finire.

Occorre fermare la guerra subito!

Nell’esprimere piena solidarietà nei confronti della popolazione civile colpita, chiediamo al governo italiano e a quelli dell’Unione Europea di farsi promotori  di una riunione urgente del consiglio di sicurezza dell’Onu per deliberare la richiesta di immediato cessate il fuoco, il rientro in sicurezza della popolazione sfollata nelle loro case, un chiaro mandato alla missione Unifil per la  protezione dei civili, la demilitarizzazione delle aree di confine e la garanzia ad entrambe le parti della fine della guerra.

Al cessate il fuoco deve seguire anche l’immediata indizione di una Conferenza sulla pace in Medio Oriente, da tenersi sotto l’egida dell’Onu, con l’obiettivo di ripristinare il diritto internazionale e dare risposta finalmente al diritto di autodeterminazione del popolo palestinese.

Dopo anni di afasia della politica e della diplomazia, pretendiamo che siano adottate nei confronti di tutti i belligeranti sanzioni efficaci ed un embargo ermetico ed immediato sugli armamenti.

Invitiamo il popolo della pace a mobilitarsi in queste ore in ogni città, affinché si levi forte la voce di chi chiede il cessate il fuoco, la fine dei massacri, il soccorso e il sostegno alle popolazioni colpite.

La Rete Italiana Pace e Disarmo chiama il mondo dell’associazionismo, del sindacato, del mondo della cultura, le amministrazioni locali, le scuole, le Università e le reti di società civile a far sentire la propria voce, invitando tutti e tutte ad un percorso di mobilitazione comune e condiviso il più esteso possibile.