Lettere

Riflessioni di una madre

Lettere Inizialmente appena ho ricevuto la notizia della diffusione del Covid-19, in me si è creata una gran confusione e sono prevalse istintivamente emozioni come ansia e paura. D’impulso ho fatto […]

Pubblicato più di 4 anni fa

Inizialmente appena ho ricevuto la notizia della diffusione del Covid-19, in me si è creata una gran confusione e sono prevalse istintivamente emozioni come ansia e paura.

D’impulso ho fatto un confronto con l’influenza, con cui abbiamo tutti familiarità, che pur avendo una mortalità preoccupante, passa quasi inosservata nella vita di tutti i giorni. Si stima che mediamente in Italia ogni anno muoiano a causa dell’influenza e le sue complicanze 8.000 persone, quindi lo 0,013% degli italiani.

Inizialmente la stampa e i media avevano comparato Coronavirus e influenza, ma poi all’avvento dei primi contagi in Italia ogni accostamento è stato dimostrato quasi inimmaginabile e le informazioni su che cosa sia e che cosa significhi contrarre il Covid-19 sono diventate piuttosto contrastanti.

Calcolatrice alla mano ho cercato di dare un senso a quei numeri buttati lì nei titoli degli articoli. In Italia si contato attualmente 2.978 morti, che a fronte di una popolazione di 60,48 milioni rappresentano lo 0,005% degli abitanti. Facendo invece il calcolo sulla base delle 35.713 persone risultate positive al tampone al 18 marzo la mortalità tra i contagiati è stata dell’ 8,3%.
Nella provincia autonoma di Trento, a fronte di una popolazione di 538.223, ci sono stati fino ad ora 719 contagi e 8 decessi. Quindi i contagi rappresentano lo 0,13% della popolazione e i decessi lo 0,001% della popolazione totale, con una mortalità tra i contagiati dell’ 1,11%.

Ma questi dati sono probabilmente più pessimistici della realtà, perché non tengono conto di tutte le persone che non hanno effettuato il tampone, ma che potenzialmente potrebbero aver contratto il virus. In Italia per esempio al 15 marzo erano stati eseguiti 125.000 tamponi, cioè sullo 0,2% della popolazione totale.

Non posso nascondere che l’aver circoscritto attorno allo 0% la possibilità che un mio caro o il «Signor Chiunque» potesse morire mi abbia rasserenata perché in tutto questo caos e in tutto questo parlare di morte ero arrivata a pensare che in questi giorni e nei seguenti la morte sarebbe venuta a farci visita. Dopo aver ridimensionato quei numeri, ho ridimensionato il mio panico.

Non voglio sminuire quanto sta accadendo, resto a casa nella possibilità di poter tutelare anche una sola persona o per alleggerire la quotidianità anche di un unico operatore sanitario, detto ciò però desidererei una riconsiderazione globale di tutta questa situazione; vorrei un agire spinto da consapevolezza e rispetto e non da panico e terrore.

Mi chiedo perché non ci permettono di trascorrere una quarantena libera dall’ansia e dalla paura di morire, ma ricca di educazione civica e senso di responsabilità. Le istituzioni e la stampa dovrebbero tranquillizzare i loro cittadini informandoli sulla gravità della situazione, ma evitando di terrorizzarli con il lessico “militare” utilizzato per scandire frasi e misure della pandemia, aggiungendo ansia all’isolamento al quale siamo già consapevolmente sottoposti. Potrei citare alcune frasi del presidente Fugatti, del lessico adoperato e della terminologia scelta, sinonimi e paragoni fin troppo espliciti che hanno interessato l’universo conscio e inconscio del concetto di morte. Ha parlato di funerali ai quali è negata la possibilità di essere celebrati, della solitudine negli istanti che precedono il trapasso, di necrologi, dell’incapacità delle pompe funebri di sostenere un numero così elevato di sepolture.

Il prevalere del sentimento del panico mi ha fatto credere che fosse in atto una certa strumentalizzazione della paura e mi sono chiesta se il problema risieda realmente in una pandemia pericolosissima oppure se ci sia una volontà di mascherare l’incapacità statale di gestire una situazione analoga a questa e a fronte soprattutto di politiche che hanno mirato a depotenziare la sanitá pubblica, la quale di conseguenza non ha né soldi né personale sufficienti per far fronte ad un virus che non è poi così letale.

Inneggiamo tutti allo sforzo eroico che il personale sanitario sta facendo, ma perché abbiamo fatto in modo che un operatore sanitario si dovesse ritrovare a lavorare in condizioni simili? Ci stiamo accorgendo di essere i responsabili? Elettori disattenti, alla prossima riforma sanitaria ce ne ricorderemo di questi eroi e dei nostri errori?

Mi piacerebbe sapere cosa stia realmente accadendo, ma non mi è possibile. Mi chiedo però quali strade percorreremo e dove ci porteranno e quali valori vogliamo insegnare alle generazioni future.