Lettere

Ucraina, oltre l’emergenza. La proposta

Lettere   Già lo aveva detto Aldo Capitini: una marcia non è “fine a se stessa”, ma tra i requisiti fondamentali vi è quello di dover proporre obiettivi politici specifici e […]

Pubblicato quasi 3 anni fa

 

Già lo aveva detto Aldo Capitini: una marcia non è “fine a se stessa”, ma tra i requisiti fondamentali vi è quello di dover proporre obiettivi politici specifici e chiari, “onde che vanno lontano”, che impegnino responsabilmente ciascuno dei marciatori. Per questo il movimento per la Pace e il Disarmo si è dato degli obiettivi, lavora e si impegna per il loro raggiungimento. Ribadiamo quindi che mobilitarsi e manifestare per la pace è fondamentale ed utile farlo con proposte precise e che sia anche occasione di riflessione sulle cause profonde che determinano le guerre e le violazioni dei diritti umani.

La crisi che si sta sviluppando ai confini orientali dell’Unione Europea, ma sempre dentro l’ambito geografico, sociale e culturale dell’Europa, va vista ed affrontata partendo da una attenta analisi dei rischi e degli interessi in gioco, con il pieno coinvolgimento delle popolazioni affinché possano decidere in libertà il loro futuro.

Parte della nostra debolezza è anche l’ancoraggio ad una visione di relazioni internazionali basata sui blocchi contrapposti, residuo del secolo scorso, oggi superata da un’idea velleitaria di multipolarismo tra grandi potenze che si contrappone al bistrattato – ma di ben altra natura e portata – multilateralismo delle Nazioni Unite.

Il Patto di Varsavia non esiste più. Il muro di Berlino è stato abbattuto nel 1989. Esiste l’Unione Europea, esiste il Consiglio d’Europa1, esiste l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa2.
Esistono soprattutto le Nazioni Unite, collegate ad un sistema di diritto internazionale, troppo spesso violato da chi oggi lo invoca. Ma nonostante ciò siamo ancora imprigionati dentro una logica di schieramenti contrapposti, obbligati ad avere un nemico per ricercare una supremazia mondiale che alimenta la corsa agli armamenti ed è essa stessa fattore di instabilità. Come fossimo obbligati a camminare in avanti con la testa girata all’indietro.

Non può essere così. Non deve essere così.

Per i paesi dell’Unione Europea a rischio è la costruzione di uno spazio di sicurezza e di stabilità regionale che si sta attendendo dalla caduta del muro di Berlino, ed è la fornitura di gas dalla Russia che pesa per un 25% del fabbisogno dell’Unione (ma del 40% per l’Italia). Ma gli Stati membri e la stessa Unione si presentano a questo appuntamento impreparati, divisi, senza una visione di futuro e perciò vulnerabili.

Paghiamo l’assenza di una posizione comune a difesa dei nostri interessi strategici, l’arretratezza del nostro modello industriale, il ritardo della transizione ecologica, la mancata cessione di parte della sovranità nazionale all’Unione e, conseguentemente, la debolezza della nostra voce in politica estera, dove siamo considerati buoni pagatori ma scarsi giocatori, a est come a sud dei confini comunitari.

La difesa dei nostri interessi (e il nostro primo interesse è la pace) e della nostra sicurezza (e la nostra sicurezza discende dalla sicurezza altrui), in quanto europei con una visione universale dei diritti, non può essere delegata alla dimensione militare portata avanti dalla NATO ma dovrebbe essere affidata alle istituzioni sovranazionali civili che abbiamo creato, con tanta difficoltà, dal 1945 ad oggi, anche mettendo mano alla applicazione dell’art. 43 dello Statuto delle Nazioni Unite che, con l’applicazione del diritto internazionale, devono tornare ad essere il luogo e lo strumento di risoluzione dei conflitti tra Stati, tra gruppi di potere, tra interessi contrapposti.

Questa ennesima crisi che può sfociare in una nuova guerra, dopo la Jugoslavia, l’Afghanistan, l’Iraq, la Libia, la Siria non ci segnala forse con forza che è giunto il momento di sciogliere le alleanze militari e ripensare la mission dell’Alleanza Atlantica trasformandola in un’alleanza di cooperazione tra l’Europa e le Americhe per lo sviluppo sostenibile e per la pace nel mondo?

Paradossalmente sarebbe più coerente con i nostri principi e valori, più utile per affrontare le sfide che abbiamo di fronte: il cambiamento climatico, la transizione ecologica, le diseguaglianze economiche e sociali, l’Agenda 2030, le migrazioni forzate. Perché non investire in cooperazione, in ricerca ed investimenti civili, parte di quei 1.100 miliardi di dollari di spesa militare che annualmente i paesi della NATO destinano alla difesa armata e a nuovi sistemi di arma?

La Russia considera una minaccia alla propria sicurezza nazionale l’allargamento a est della NATO. Non a caso, come emerso dai documenti de-secretati dal Regno Unito, nel 1991 durante i colloqui per la dissoluzione dell’URSS fu preso l’impegno da parte del campo occidentale di non ampliare l’Alleanza atlantica ad est. Cosa invece avvenuta, con l’adesione di Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania, Bulgaria, repubbliche Baltiche e con il progetto di annettere anche Georgia ed Ucraina. Lasciando invece, come zona cuscinetto, il solo caso della Finlandia.

Come è possibile la costruzione di una Europa con “sicurezza condivisa” tra e per tutti gli Stati ed i popoli come auspicava lo svedese Olof Palme se si continua con questa politica di contrapposizione militare che, vista dall’altra parte, è sinonimo di accerchiamento, di minaccia alla propria sicurezza?

Se l’Europa non riuscirà a rompere questo paradigma bloccato nella visione bipolare del mondo, dove il nemico e la minaccia è costituita da un altro Stato, da un’altra società con cui si disputa l’egemonia ed il dominio del pianeta, continueremo tutti quanti a scivolare inesorabilmente nel declino e nell’autodistruzione, ripetendo il giro di valzer del Titanic.

La strada è tracciata ed è quella della cooperazione, degli investimenti, dei contratti e del commercio equo, della mobilità, degli scambi, della solidarietà, del disarmo climatico, della neutralità attiva per costruire un’Europa di benessere, di sicurezza, di cooperazione, nel rispetto delle diversità. Solo così si potrà vivere in pace.

È tempo di prendere atto che la pace e la sicurezza condivisa va costruita con politiche economiche, sociali, ambientali improntate sulla cooperazione tra Stati e con una visione universale (diritti universali) e di lungo periodo (consegnare il pianeta in condizioni migliori di come lo abbiamo ricevuto). Occorre decidere cosa produrre e come produrre. Occorre saper dire dei No e dei Sì in modo coerente con principi e valori universali. Occorre fermare la spirale che porta alle tensioni, alle provocazioni ed alle guerre. Bisogna partire da una riduzione della spesa militare, con conseguente spostamento di risorse per garantire una vera sicurezza per tutti e quindi “preparare la pace con la pace”. Ed è inoltre importante che si dedica strategicamente di investire sull’autosufficienza e sostenibilità energetica fondate su sviluppo delle rinnovabili, con promozione di politiche di efficienza e innovazione industriale per rompere il perverso legame fra dipendenza da fonti fossili dall’estero e rapporti di forza nelle relazioni internazionali.

Per tutto ciò dire “No alla guerra” è necessario ma non sufficiente: occorre prendere posizione. I partiti, le istituzioni se si dichiarano per la pace e contro la guerra devono agire di conseguenza, con coraggio e determinazione aprendo un dibattito sul ruolo e sulla mission dell’Alleanza Atlantica, una riforma e trasformazione profonda della Nato, e sulla necessità di assumere una posizione di neutralità attiva ancorata al diritto internazionale ed alle Nazioni Unite, e dunque impegnandosi ora e subito:

  • per una reale de-escalation del conflitto;
  • per sostenere la neutralità dell’Ucraina come parte del processo di distensione regionale;
  • per coinvolgere la società civile e la popolazione di tutte le regioni coinvolte nelle decisioni

    sulle possibili vie di uscita da questa crisi: l’elaborazione di un percorso di pace non può essere affidata alle sole diplomazie governative ma deve prendere in considerazione l’apporto delle comunità locali;

  • per attivare un programma di cooperazione e di sostegno alla popolazione ucraina al fine di affermare il pieno diritto di autodeterminazione e di integrazione nello spazio (civile) europeo;
  • per attivare un dialogo diretto tra le istituzioni europee, a partire dal Consiglio d’Europa, all’Unione Europea e la Federazione Russa, in una logica di sicurezza condivisa, di cooperazione e di promozione dei diritti umani e della democrazia.
  • Per sostenere la convivenza pacifica tra le diverse comunità e popolazioni contrastando nazionalismi, populismi e derive xenofobe che sfociano in nuove forme di fascismo e di autoritarismo.
  • Per ribadire l’inviolabilità dei confini riconosciuti internazionalmente, e l’illegalità di ogni tipo di annessione e di occupazione militare e civile di territori oggetto di contenzioso giuridico.

    Al fine di eliminare le motivazioni che stanno alla base di un confronto muscolare pronto a trasformarsi troppo rapidamente in conflitto aperto, occorre dunque lavorare sui seguenti punti specifici:

  • la Russia deve cessare le interferenze, le aggressioni contro i paesi che ritiene essere all’interno della sua “sfera di influenza”, riconoscere i confini ucraini e abbandonare l’idea evocata della “Grande Russia”
  • la NATO non deve cercare un’ulteriore espansione o impegnarsi in aggressioni;
  • tutte le truppe devono essere ritirate e le forniture di armi, equipaggiamento militare e addestramento devono cessare. La mobilitazione per la guerra dei soldati russi, delle truppe

    dei membri della NATO e della popolazione ucraina deve finire.

  • il diritto umano all’obiezione di coscienza al servizio militare deve essere garantito, in

    conformità con l’articolo 18 del Patto internazionale sui diritti civili e politici e i paragrafi 2,

    11 del Commento generale No 22 del Comitato dei diritti umani delle Nazioni Unite.

  • la NATO e la Russia devono devono accordarsi per porre fine alle esercitazioni militari ed

    evitare incontri militari ravvicinati tra le forze russe e della NATO.

  • tutte le parti coinvolte devono impegnarsi a negoziare un nuovo Trattato sulle forze

    convenzionali in Europa e smilitarizzare l’Europa attraverso il disarmo, le ispezioni, ecc.

  • tutte le parti coinvolte non devono impegnarsi in attacchi cibernetici, specialmente contro infrastrutture critiche che colpiscono la vita dei civili. Gli Stati e la società civile devono perseguire in buona fede un accordo internazionale che proibisca gli attacchi informatici.
  • tutte le parti interessate devono intraprendere azioni urgenti per prevenire la guerra nucleare: sulla scia del crollo del trattato sulle forze nucleari a medio raggio accordandosi

    per non schierare missili a medio raggio in Europa o nella Russia occidentale.!

  • gli Stati Uniti e la Russia hanno anche bisogno di concludere nuovi accordi che raggiungano ulteriori tagli verificabili nelle armi nucleari strategiche e non strategiche e sulle limitazioni delle difese missilistiche a lungo raggio, prima che il nuovo trattato di riduzione delle armi

    strategiche (New START) scada all’inizio del 2026.

  • gli Stati Uniti devono ritirare le loro armi nucleari di stanza nei paesi membri della NATO e la

    Russia devono ritirare le sue armi nucleari tattiche dalle basi vicino al suo confine

    occidentale.

  • la NATO devono rinunciare alle armi nucleari e denuclearizzare la sua dottrina politica così

    come la Russia e gli Stati Uniti (e tutti gli altri Stati dotati di armi nucleari) devono porre fine ai loro programmi di modernizzazione delle armi nucleari. Gli Stati Uniti, la Russia, l’Ucraina e tutti i membri della NATO devono aderire al trattato sulla proibizione delle armi nucleari.

    Per noi la priorità è costruire un’Europa smilitarizzata dall’Atlantico agli Urali, di pace, di sicurezza per tutti, di libertà e di democrazia. Un’Europa allargata ed aperta al mondo, dove l’Alleanza Atlantica sia una collocazione culturale, di emancipazione collettiva, di condivisione di un progetto globale di pace.

    Tutto questo significa dire “Sì alla pace” e “No alla guerra”.