Valutare e punire? La “serietà” di cui non abbiamo bisogno
Lettere Egregio Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, da tempo ci interroghiamo su cosa stia accadendo nelle scuole, in questa lunga e sfiancante emergenza pandemica e, più in generale, su cosa stia accadendo […]
Egregio Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi,
da tempo ci interroghiamo su cosa stia accadendo nelle scuole, in questa lunga e sfiancante emergenza pandemica e, più in generale, su cosa stia accadendo ad una generazione prima reclusa, quindi accusata, poi “usata” politicamente e sempre trascurata. Stiamo assistendo ad un processo di abbandono dell’infanzia e dell’adolescenza rispetto al quale è sorprendente osservare quanto Lei sia distante. Sembra, infatti, che di fronte a questo disastro Lei abbia le idee chiare su come sostenere la comunità scolastica: ad esempio affermando che bocciare sia la conferma che quest’anno la scuola c’è stata! Un “amore tossico” per le/gli student* il Suo, perché oggi più che mai è invece inammissibile che la valutazione precipiti sui più deboli e su chi ha avuto più difficoltà come una punizione.
Se già in tempi “normali” la valutazione espressa in termini numerici è incapace di tradurre la qualità e il vissuto dell’apprendimento, nella situazione attuale assume i connotati di un verdetto che non tiene conto delle difficoltà prodotte dalle modalità, di per sé inique, della didattica di emergenza.
Pur di imporre la narrazione di una normalità fittizia, si cancellano così i bisogni reali di apprendimento, crescita, socialità e salute psico-fisica delle e dei minori, che sono tra i soggetti più colpiti da disturbi psicologici anche gravi, in un numero che continua a crescere in maniera allarmante. Chiusi in casa, privi un adeguato supporto da parte dell’istituzione scolastica, allontanati dalla rete sociale esterna alla famiglia, bambin* e ragazz* sono tra coloro che più hanno sofferto, cui è mancato il sostegno e per i quali nessun intervento è stato messo in atto. Eppure, diversamente dallo scorso anno, verranno “seriamente” valutat* e, se lo “meritano”, bocciat*.
A fronte di questo atteggiamento inaccettabile, invece, noi riteniamo che questo anno scolastico non debba prevedere bocciature e proponiamo, inoltre, un dieci in comportamento a tutti gli/le student*, dai sei ai diciotto anni. Non un voto “politico” nel senso classico del termine, ma un dieci “generazionale”, per tutt* le/gli alunn* mortificati e soffocati dalla pandemia e dalla inadeguata gestione politica della stessa.
Pensiamo inoltre che l’unico esame di maturità che potrà dirsi davvero “serio” sia un libero colloquio di restituzione, perché facendo salvo il momento simbolico del rito di passaggio, per la definizione del voto finale non si può lasciare intatta la gabbia dei crediti che rimanda ad una concezione “bancaria” dell’apprendimento che sarebbe l’ora di abbandonare definitivamente insieme al “curricolo dello studente” la cui consistenza, oggi più che mai, è strettamente connessa alle disparità economiche che hanno consentito di costruirlo. È il momento, inoltre, di liberarsi anche di attività come i PCTO (ex “alternanza scuola-lavoro”) e di tutti quei progettini che hanno mortificato gli studenti costringendoli negli ultimi mesi allo schermo dei PC.
Chiediamo infine l’immediata sospensione delle prove Invalsi nelle scuole di ogni ordine e grado come primo passo per mettere in discussione un’idea di scuola che spende le sue energie nel “teaching to the test”, nel misurare invece di formare.
La priorità, in questo momento, non è certo recuperare il tempo perduto in quanto “tempo di produzione” per plasmare un capitale umano docile e “competente”, come si conviene a una “buona scuola” funzionale al mercato. Il tempo perduto non è quello dedicato al conteggio delle ore di lezione erogate e alla misurazione delle performance degli/lle student* attraverso test ma è quello mancato alla condivisione dei saperi, che avviene solo quando ci si confronta e si cresce insieme. La priorità, allora, è far prevalere finalmente la sostanza sulla burocrazia: come si può pensare, in condizioni eccezionali, di mantenere lo stesso numero di giorni di scuola e lo stesso monte ore settimanale, a distanza come in presenza?
A tal proposito ci sembra, quindi, opportuno rivendicare la flessibilità del monte ore scolastico annuale, così da poter ridurre immediatamente la densità degli/lle student* in aula e sui mezzi di trasporto. Ciò consentirebbe, senza più ricorrere alla Did o alla Dad, una didattica con piccoli gruppi in presenza che punti alla qualità del tempo scuola piuttosto che al rispetto formale dei 200 giorni canonici. Una soluzione eccezionale per tempi eccezionali, che salvaguardi la possibilità della scuola in presenza, in serenità e in sicurezza.
La pandemia ce l’ha insegnato: il futuro ha bisogno di ben altri saperi, di ben altra cura, e di una scuola che ne sia all’altezza.